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martedì 11 dicembre 2018

Se tu sei cosi brillante perche’ non sei anche ricco? Questione di fortuna.


Le persone di maggiore successo non sono sempre quelle piu’ talentuose, ma solo quelle piu’ fortunate. Questo il risultato di un modello di ricchezza sviluppato da 3 fisici italiani dell’Universita’ di Catania e pubblicato su Arxiv (Link1, Link2). La distribuzione della ricchezza come noto, segue un pattern ben definito chiamato la regola 80:20 (o principio di Pareto), l’80% della ricchezza e’ posseduta dal 20% delle persone. In uno studio pubblicato l’anno scorso addirittura e’ riportato che solo 8 persone posseggono la ricchezza totale di quella dei 3.8 miliardi di persone piu’ povere al mondo. Questo sembra accadere in tutte le societa’ e a tutte le scale. Si tratta di un noto pattern chiamato legge di potenza che appare in un ampio intervallo di fenomeni sociali. Ma la distribuzione della ricchezza e’ quella che genera  piu’ controversie a causa dei problemi che solleva sull’equita’ e sul merito. Perche’ mai solo una piccola parte di persone nel mondo dovrebbe possedere tanta ricchezza? La risposta tipica a questa domanda e’ che noi viviamo in una societa’ meritocratica dove le persone vengono premiate in base al loro talento, intelligenza, sforzi, ostinita’. Nel tempo, questo si traduce nella distribuzione di ricchezza che osserviamo nella realta’.  C’e’ un problema pero’ con questa idea: mentre la distribuzione della ricchezza segue una legge di potenza (distribuzione di Pareto), la distribuzione dell’intelligenza e delle abilita’ in genere segue una distribuzione normale che e’ simmetrica rispetto al valore medio. Per esempio, l’intelligenza che viene misurata tramite il test IQ, ha un valore medio di 100 e si distribuisce in modo simmetrico rispetto a questo valore. Nessuno ha mai ottenuto 1000 o 10000. Lo stesso e’ vero per lo sforzo che puo’ essere misurato in ore lavorate. Qualche persona lavora piu’ ore della media e qualche altra di meno, ma nessuno lavora milioni di ore piu’ di altri.

Eppure quando si tratta dei premi che si possono ricevere per il lavoro, alcune persone ottengono ricompense milioni di volte piu’ remunerative di altri. Per di piu’, diversi studi hanno mostrato che in genere le persone piu’ ricche non sono quelle piu’ talentuose. Quali fattori, allora determinano il modo in cui gli individui diventano ricchi? E’ possibile che il caso giochi un ruolo maggiore di quello che ognuno di noi si aspetta? E come possono questi fattori, qualunque essi siano, essere sfruttati per rendere il mondo un posto migliore e più giusto dove vivere?

Una risposta viene proprio grazie al lavoro di A. Pluchino e 2 suoi colleghi dell’Universita’ di Catania. Questo team ha creato un modello al computer utilizzando NetLogo un ambiente di programmazione a multi-agenti. Grazie ad esso hanno potuto analizzare il ruolo del caso in un processo in cui un gruppo di persone con un certo talento esplora le opportunita’ della vita. I risultati sono veramente illuminanti. Le loro simulazioni riproducono accuratamente la distribuzione della ricchezza nel mondo reale. Ma gli individui piu’ ricchi non sono quelli piu’ talentuosi (sebbene essi abbiano comunque un certo livello di talento). Essi sono semplicemente i piu’ fortunati. E questo ha un’implicazione significativa sul modo in cui le societa’ possono ottimizzare i ritorni degli investimenti che si fanno, dal mercato alla scienza. Il modello sviluppato e’ abbastanza semplice. Esso consiste di N persone, ognuna con un certo livello di talento (abilita’, intelligenza, destrezza e cosi via). Questo talento e’ distribuito secondo una Gaussiana intorno ad un valore medio e una certa deviazione standard. Alcune persone, quindi sono piu’ talentuose della media ma nessuna lo e’ per piu’ ordini di grandezza.

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Questa e’ la stessa distribuzione che ritroviamo per caratteristiche umane come l’altezza e il peso. Alcune persone sono piu’ alte o piu’ basse della media, ma nessuno ha le dimensioni di un moscerino o di un elefante. Alla fine siamo abbastanza simili tra noi. Il modello costruito, ha seguito ogni individuo per 40 anni di vita lavorativa (dai 20 ai 60 anni). Durante questo tempo, gli individui possono aver sperimentato degli eventi fortuiti che hanno potuto sfruttare per aumentare la loro ricchezza se abbastanza talentuosi. Allo stesso modo, possono anche subire degli eventi sfortunati che possono ridurre la loro ricchezza. Questi eventi sono completamente casuali. Alla fine dei 40 anni, il team ha fatto un ranking degli individui in base alla ricchezza accumulata e studiato le caratteristiche di questa distribuzione. Hanno poi ripetuto la simulazione molte volte per verificare la robustezza dei risultati.

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In questa figura un esempio di configurazione iniziale di una simulazione. Ci sono 1000 individui (agenti) con diversi gradi di talento e distribuiti in modo casuale all’interno di un mondo quadrato fatto di 201x201 striscie con condizioni al contorno periodiche. Durante ogni simulazione che copre diverse dozzine di anni queste persone vengono esposte ad un certo numero di eventi fortunati (cerchi di colore verde) e sfortunati (cerchi di colore rosso) che si muovono attraverso il mondo quadrato con traiettorie del tutto casuali.


La distribuzione della ricchezza che emerge dalle simulazioni e’ esattamente quella vista nel mondo reale. La legge 80:20 viene rispettata, in quanto l’80% della popolazione possiede il 20% del capitale totale, mentre il rimanente 20% possiede l’80% di questo capitale. Questo risultato non sarebbe sorprendente o sleale se il 20% delle persone piu’ ricche fosse anche quello piu’ talentuoso. Ma questo non e’ quello che emerge dallo studio.

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Gli individui piu’ ricchi, in genere non sono quelli piu’ talentuosi o prossimi a essi. Il massimo successo non coincide con il massimo talento e viceversa.

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Quindi se non e’ il talento, quali altri fattori causano questa distribuzione di ricchezza fortemente scodata? La simulazione chiaramente individua nella pura fortuna tale fattore. Facendo una classifica degli individui secondo il numero di eventi favorevoli e sfavorevoli subiti nei 40 anni di lavoro, e’ evidente che gli individui con maggiore successo sono anche i piu’ fortunati. E quelli che hanno avuto meno successo sono proprio quelli piu’ sfortunati (maggiore numero di eventi negativi).

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Questo risultato ha delle implicazioni molto profonde per la societa’. Quale e’ la strategia piu’ efficace per esplorare il ruolo della fortuna nel successo di una persona? Il team ha verificato questo aspetto usando il metodo con cui vengono stabiliti i fondi per la ricerca scientifica. Le agenzie di finanziamento di tutto il mondo sono interessate a massimizzare il loro ritorno sull'investimento nel mondo scientifico. Recentemente l’European Reserch Council ha investito 1.7 miliardi di dollari in un programma per studiare la serendipita’, cioe’ il ruolo della fortuna nelle scoperte scientifiche, e come essa puo’ essere sfruttata per migliorare i risultati del finanziamento. E questo studio di Pluchino e il suo team  ben si presta a dare una risposta a questa domanda. In esso vengono esplorati diversi modelli di finanziamento per capire quale di essi produce il miglior ritorno quando si tiene in considerazione la fortuna. In particolare sono stati studiati 3 modelli in cui il fondo e’ distribuito equamente a tutti gli scienziati, distribuito a caso ad un numero limitato di scienziati o dato preferenzialmente a quelli che hanno avuto piu’ successo in passato. Quale e’ la migliore strategia? La risposta e’ controintuitiva ed il primo modello. Si avete capito bene quella che assegna il fondo in modo equo a tutti gli scienziati. E subito dopo la seconda e terza strategia vincente e’ quella che prevede di assegnare a caso il fondo al 10 o 20% degli scienziati. In questi casi, i ricercatori riescono ad ottenere un vantaggio dalle scoperte per serendipita’ che avvengono nel tempo. Col senno di poi e’ ovvio che se uno scienziato ha fatto una scoperta nel passato non significa che ha una probabilita’ maggiore di farne un’altra nel futuro. Un simile approccio potrebbe essere applicato anche negli investimenti di altro tipo di aziende, come una piccola o grande impresa, startup tecnologiche o anche per la creazione casuale di eventi fortunati. E’ chiaro che c’e’ bisogno di ulteriori indagini e studio su questo argomento prima di poter dare un giudizio definitivo. I primi risultati sono di sicuro rivoluzionari e in controtendenza, con una prospettiva di applicazione del tutto nuova e molto interessante. Non ci resta che aspettare ulteriori dettagli….

martedì 22 agosto 2017

I numeri intoccabili

Oggi vi voglio parlare di una particolare classe di numeri interi positivi: i numeri intoccabili. Anni fa mi occupai di questi numeri e in particolare di una loro sottoclasse: i numeri intoccabili unitari. A quel tempo nessuno conosceva la sequenza di tali numeri e dopo averli studiati fui in grado di stabilire quali degli interi tra 1 e 1000 appartenevano a tale sottoclasse. Tutto cio’ e’ stato documentato dal matematico Richard Guy nel suo famossisimo libro: Unsolved Problems in Number Theory, e dal matematico Hee-Sung Yang nella sua tesi discussa presso il Dartmouth College d’Inghilterra nel 2012.







Ma procediamo con ordine e vediamo di cosa stiamo parlando. Prima di tutto perche’ intoccabili? Semplicemente perche’ vengono evitati da tutti gli altri numeri che non vogliono avere nulla a che fare con loro nel senso che non li vogliono fra i loro divisori. Ma cosa sono i divisori? In matematica un divisore di un intero N, anche chiamato un suo fattore, e’ un intero M che moltiplicato per qualche altro intero K ritorna N. In questo caso si dice anche che N e’ un multiplo di M. Un intero N e’ divisibile per un altro intero M se M e’ un divisore di N; questo implica che dividendo N per M non lascia nessun resto. Infatti se N=K*M allora N/M=K cioe’ il rapporto e’ un numero intero. Introduciamo adesso alcune funzioni molto importanti in Teoria dei Numeri, la branca della matematica che studia le proprieta’ dei numeri interi: la funzione divisori e la funzione divisori unitari. La prima e’ una funzione aritmetica legata ai divisori di un intero e compare in un numero elevato di relazioni. Essa fu studiata da Ramanujan che determino’ alcune sue importanti proprieta’. In generale questa funzione viene definita come:



dove x e’ un qualsiasi numero reale o complesso e

d|n

indica che d divide n. In altri termini questa funzione e’ la somma delle potenze x-esime dei divisori positivi di n. Per quello che interessa a noi analizzeremo il caso x=0 e x=1:

σ0(n), e’ il numero di divisori del numero n
σ1(n) e’ la somma dei divisori di n

Un’altra funzione legata ai divisori e’ la cosiddetta somma aliquota (aliquot sum) di n che e’ la somma dei divisori propri di n cioe’ la somma di tutti i divisori di n escluso n stesso, cioe’ s(n)=σ1(n) – n.
Qui di seguito il grafico della funzione σ0(n) e σ1(n) per n fino a 250.





Facciamo un esempio. Consideriamo n=12. In questo caso avremo:




mentre la somma di tutti i divisori sara’:



e la somma aliquota, cioe’ la somma dei divisori propri:



Qui una tabella riassuntiva dei primi 16 numeri interi:




Adesso possiamo introdurre la definizione di numeri intoccabili. Si chiamano “intoccabili” i numeri interi positivi che non sono la somma dei divisori propri di alcun numero. In altri termini, sono quei numeri n per cui non esiste alcun intero k  per il quale valga:

n = σ1(k) – k=s(k)

Il numero 4, per esempio non puo’ essere intoccabile in quanto esiste un valore k=9 tale che n=4. Il numero 5 invece e’ intoccabile in quanto non esiste alcun numero intero k per cui n puo’ essere scritto come σ1(k) – k, cioe’ 5 non e’ la somma dei divisori propri di nessuno degli interi positivi. In parole semplici, immaginate di avere a disposizione una tabella come quella di sopra per tutti i numeri interi n; i numeri intoccabili sono gli interi che non compaiono mai nell’ultima colonna della tabella.
I primi numeri intoccabili sono:

2, 5, 52, 88, 96, 120, 124, 146, 162, 188, 206, 210, 216, 238, 246, 248,262, 268, 276, 288, 290, 292, 304, 306, 322, 324, 326, 336, 342, 372, 406, 408, 426, 430, 448, 472, 474, 498, ... (sequenza A005114 nell’enciclopedia degli interi on line OEIS)

Il famoso matematico Erdos, nel 1973 dimostro’ che i numeri intoccabili sono infiniti e si pensa che il numero primo 5 sia l’unico intoccabile dispari. Al momento si tratta solo di una congettura che aspetta una dimostrazione. Essa comunque sembra ragionevole in quanto segue dalla congettura forte di Goldbach che stabilisce che ogni numero pari maggiore di 6 puo’ essere scritto come la somma di due primi distinti cioe’ 2n=p+q con p e q numeri primi. Consideriamo un numero dispari 2n+1 maggiore di 7. Se la congettura di Goldbach e’ vera allora possiamo scrivere 2n=p+q da cui abbiamo 2n+1=p+q+1. Ma p+q+1 altro non e’ che la somma dei divisori propri del numero intero p*q e quindi 2n+1= s(p*q) il che significa che 2n+1>7 non e’ intoccabile. Quindi non esiste nessun numero intoccabile dispari maggiore di 7. Essendo inoltre 1, 3 e 7 tutti non intoccabili come si puo’ vedere dalla tabella riportata sopra questo significa che 5 dovrebbe essere l’unico numero intoccabile dispari. Dovrebbe perche’ al momento anche quella di Goldbach e’ solo una congettura.
Tutti i numeri intoccabili, tranne 2 e 5, sono numeri composti (cioe’ un numero che ha almeno un altro divisore oltre a 1 e se stesso) e nessun numero perfetto (un numero n per cui la somma dei suoi divisori propri e’ uguale al numero stesso n) può essere un intoccabile (come esempio vedi il caso del numero perfetto 6 nella tabella riportata sopra). Se i numeri perfetti sono al primo posto nella “scala sociale” dei numeri, gli intoccabili sono all’ultimo. Allo stesso modo nessuno dei numeri amichevoli e socievoli puo’ essere intoccabile. Nel 2011 i cinesi Y-G Chen e Q-Q Zhao hanno dimostrato che la densita’ dei numeri intoccabili, cioe’ il rapporto tra il numero di intoccabili fino a N ed N stesso e’ almeno il 6% anche se non e’ noto se tende a un limite. Dal grafico della densita’ in funzione di N si puo’ congetturare che il limite esista e’ che e’ prossimo al 16%. Ma come sempre in matematica serve una dimostrazione e non una semplice congettura.



Ancora qualche altra proprieta’ dei numeri intoccabili. Se con p indichiamo un qualsiasi numero primo allora i numeri p+1 e p+3 di sicuro non sono intoccabili. Vediamo perche’. Consideriamo il numero k=p2 . La somma dei suoi divisori e’ data da σ1(p2)=1+p+p2 essendo p un numero primo (provate ad usare p=3 per verificare che la somma dei divisori di 9 e’ proprio 1+3+9).
Portando p2 al primo membro otteniamo σ1(p2)-p2=1+p, e quindi esiste un numero k=p2 per cui la somma dei suoi divisori propri e uguale a 1+p e quindi tale numero non puo’ essere intoccabile. Analogamente per il numero p+3. In questo caso esiste un numero k=2p tale che la somma dei suoi divisori propri e’ ugule a p+3. Infatti σ1(2p)=1+2+p+2p (pensate per esempio al caso p=5) da cui si ottiene σ1(2p)-2p=3+p. Il caso 1+p puo’ essere facilmente generalizzato al numero 1+p+p2+p3+….+pn-1 con n un intero positivo, che non puo’ essere intoccabile in quanto σ1(pn)=1+p+p2+p3+…+pn da cui deriva: σ1(pn)-pn=1+p+p2+p3+…..pn-1. Allo stesso modo ci si puo’ divertire a mostrare quali altri numeri sono di sicuro non intoccabili. Osserviamo per esempio, che la somma dei divisori del numero pn*q con p e q due primi ed n un numero naturale qualsiasi e’ data da:

σ1(pn)=1+p+p2+p3+…..pn+q+pq+p2q+…+pnq

da cui otteniamo:

σ1(pn)-pnq=1+p+p2+p3+….+pn+q+pq+p2q+…+pn-1q

e quindi di sicuro il numero:

1+p+p2+p3+….+pn+q+pq+p2q+…+pn-1q

non e’ intoccabile. Provate a sostituire p=2, n=3 e q=3 per convicervi che e’ cosi.
Diamo adesso un’occhiata a quella che in Teoria dei numeri si chiama gap, cioe’ la distanza tra termini successivi di una qualsiasi sequenza numerica. Qui di seguito le distanze tra i primi 30 numeri intoccabili (vedi colonna gap). Ad un primo sguardo sembra che non emerga nessun tipo di pattern particolare. Ma guardando attentamente possiamo vedere che ogni tanto compaiono dei numeri intoccabili a distanza di 2 (ricordare che non e’ possibile avere numeri consecutivi intoccabili, cioe’ a distanza 1 se viene provato che 5 e’ l’unico numero intoccabile dispari) e che a volte questi 2 formano delle doppiette, triplette, quadriplette e cosi via. Per esempio 246 e 248 e’ la doppietta piu’ piccola di numeri intoccabili. 288, 290 e 292 la tripletta piu’ piccola e cosi via. Esistono tutte le n-plette da 2 all’infinito? Al momento nessuno conosce la risposta. Se non sono infinite quale’ allora il suo limite superiore?



Qui di seguito l’istogramma del gap dei primi 8153 numeri intoccabili. La maggior parte degli intoccabili amano stare ad una distanza 2 uno dall’altro, seguito poi da 4, 6 8 e cosi via secondo una legge esponenziale. E’ possibile quindi congetturare che tra i numeri intoccabili esistano tutte le distanze pari (gap) da 2 all’infinito.



Prima di passare ai numeri intoccabili unitari dobbiamo parlare dei divisori unitari. In matematica, un numero intero m e’ un divisore unitario di un numero n se m e’ un divisore di n e se m e il rapporto n/m sono coprimi, cioe’ non hanno alcun fattore comune altro che 1. Il numero 5, per esempio e’ un divisore unitario di 60, perche’ 5 e 60/5 hanno solo 1 come fattore comune. Al contrario 6 e’ un divisore di 60 ma non e’ unitario in quanto 6 e 60/6 hanno come fattori comuni 2 e 3. Il numero 1 e’ il divisore unitario di ogni numero naturale. Per ogni numero n, il numero di divisori unitari e’ pari a 2k dove k e’ il numero di fattori primi distinti di n. Per esempio se n=10, avremo 2 distinti fattori 2 e 5 e quindi il numero di divisori unitari e’ 4. Nel caso invece di n=8 in questo caso il numero di fattori primi distinti e’ 1 essendo 8=2x2x2 e quindi il numero di divisori unitari di 8 e’ 2. Una proprieta’ molto importante per tali divisori e’ quella che stabilisce che tutti i divisori di un numero n sono unitari se e solo se n e’ square-free cioe’ se tra i sui fattori primi non ci sono quadrati perfetti. Prendiamo il numero 10. I suoi fattori primi sono 2 e 5 e quindi si tratta di divisori unitari. Consideriamo adesso 18. I suoi fattori primi sono 32 e 2 e quindi in questo caso essendo n non square-free non tutti i suoi divisori sono unitari (come per esempio il fattore 3). Un’altra proprieta’ facilmente dimostrabile e’ che un qualsiasi numero naturale M=pn con p un primo ed n un intero positivo ha come divisori unitari solo 1 ed M stesso. I divisori di M infatti, sono 1, p, p2, p3,…..pn e nessuno di questi ad eccezione di 1 ed M formano una coppia coprima (pk, pn/pk) essendo p un fattore comune per k compreso tra 1 ed n. Come fatto con i divisori, anche per i divisori unitari possiamo costruire una funzione somma che indichiamo sempre con la lettera greca sigma ma apponendo un asterisco come apice.



In questo caso essendo i divisori del numero n unitari, significa che d e n/d non hanno fattori comuni il che si puo’ esprimere come gcd(d,n/d)=1. Gcd indica il massimo comun divisore tra due numeri. Per esempio gcd(12,90)=6. I divisori di 90 infatti sono:

1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 15, 18, 30, 45, 90

e quelli di 12:

1, 2, 3, 4, 6, 12

e quindi i fattori comuni tra i due numeri sono 1, 2, 3 e 6 di cui 6 e’ il massimo.
Se l’unico divisore comune e’ 1 allora i due numeri sono coprimi o anche relativamente primi. Analogamente alla definizione di numeri intoccabili, gli unitari intoccabili sono quei numeri interi positivi che non sono la somma dei divisori unitari propri di alcun numero. In altri termini, sono i numeri n per cui non esiste alcun intero k per il quale valga:

n = σ*1(k) – k=s*(k).

Qui di seguito gli intoccabili unitari minori di 10000

2, 3, 4, 5, 7, 374, 702, 758, 998, 1542, 1598, 1778, 1808, 1830, 1974, 2378, 2430, 2910, 3164, 3182, 3188, 3216, 3506, 3540, 3666, 3698, 3818, 3846, 3986, 4196, 4230, 4574, 4718, 4782, 5126, 5324, 5610, 5738, 5918, 5952, 6002, 6174, 6270, 6404, 6450, 6510, 6758, 6822, 6870, 6884, 7110, 7178, 7332, 7406, 7518, 7842, 7902, 8258, 8400, 8622, 8670, 8790, 8850, 8862, 8916, 8930, 8982, 9116, 9518, 9522, 9558, 9570, 9582, 9642, 9930 (sequenza A063948 in OEIS)

Come gia’ riportato per gli intoccabili, se assumiamo la veridicita’ della congettura forte di Goldbach, allora gli unici numeri dispari intoccabili unitari saranno 3,5 e 7. E gli unici primi intoccabili unitari saranno 2, 3, 5, e 7.
Quanto sono frequenti i numeri intoccabili unitari tra i numeri naturali? Sembrerebbe non molto se guardiamo la seguente tabella che riporta il numero di intoccabili unitari minori o uguali a diverse potenze di 10. Tra o e 1 miliardo ci sono solo circa 11.000.000 di intoccabili unitari.



Cosa possiamo dire sulla loro densita’, cioe’ sul rapporto tra il numero di intoccabili unitari minori o uguali a N ed N stesso?



L’andamento di tale funzione ci permette di congetturare una convergenza asintotica ad un valore costante che potrebbe essere prossimo all’1%. Questo dovrebbe significare che man mano ci spostiamo verso i numeri naturali sempre piu’ grandi, avremo in media 1 numero intoccabile unitario ogni 100 numeri naturali. Proviamo adesso a vedere come si comporta la distribuzione asintotica dei numeri intoccabili unitari. Vogliamo studiare cioe’ il comportamento della funzione
Π(N) = numero di intoccabili unitari minori o uguali ad N
per N che tende all’inifinito.
Il grafico di tale funzione per il primo miliardo di numeri naturali ha un andamento chiaramente lineare dopo un plateau iniziale. Continuera’ sempre con questa pendenza fino all’infinito? Nessuno lo sa al momento. Possiamo solo pensare che sia cosi.



Un altro grafico che possiamo costruire e’ quello che riporta il rapporto N/Π(N) in funzione di N sempre per il primo miliardo di numeri naturali. Ovviamente questo andamento e’ speculare rispetto alla densita’ vista precedentemente.



Se proviamo a fare un fit non lineare di questi punti otteniamo una funzione del tipo
N/ Π(N)=a+b/(1+(N/c)d)
con le costanti a,b,c e d tutte positive ed un R2 maggiore del 98%. Visto che siamo interessati all’andamento asintotico, possiamo trascurare l’1 al denominatore essendo (N/c)d >> 1. Quindi:

N/ Π(N)=a+b/(N/c)d

da cui otteniamo:

Π(N)=N/(a+b’/Nd)

avendo indicato con b’>0 il prodotto bcd. Ma per valori di N sempre piu’ grandi il rapporto b’/Nd tendera’ a zero e in definitiva la funzione Π avra’ un comportamento lineare (con 1/a=a’):

Π(N)=N/a --> a’N

mentre la densita’ convergera’ ad un valore costante:

Π(N)/N -->1/a=a’

Come gia’ detto piu’ volte, questi risultati sono di tipo euristico e attendono una dimostrazione matematica rigorosa. Qualcuno vuole provarci?
Cosa possiamo dire invece sulle n-uplette di numeri intoccabili unitari positivi con piu’ di una cifra e con distanza 2 tra loro? Tra i primi 10000 intoccabili unitari la doppietta piu’ piccola e’ 30756, 30758.
Non e’ stata trovata invece nessuna tripletta. Resta quindi aperta l’individuazione della piu’ piccola tripletta di numeri intoccabili unitari. Esistono infinite n-uplette o queste sono finite? E in quest’ultimo caso quale e’ il limite superiore? Come fatto per gli intoccabili diamo un’occhiata alla distribuzione delle distanze tra i numeri intoccabili unitari. In questo caso la distribuzione non mostra la regolarita’ osservata pr quella dei numeri intoccabili. C’e’ una notevole frastagliatura con dei picchi che emergono qua e la. Si puo’ osservare, comunque una prevalenza di picchi per distanze pari a 12 o suoi multipli (verificato fino a 132). Non so se questo e’ stato gia’ osservato o studiato da qualcuno. Certo non sembra un pattern casuale e andrebbero aggiunti piu’ numeri ai 10000 che ho considerato io per stabilirne la reale presenza. Anche qui un altro quesito che al momento rimane aperto.



Chiudiamo il post riportando alcuni tipi di numeri che non possono essere intoccabili unitari:

1+p+q
1+p2+2n
1+q+p2
1+n+p

con p e q numeri primi ed n un qualsiasi numero intero positivo.
La dimostrazione e’ molto semplice. Per il primo caso esiste un numero k=pq tale che s*(k)=1+p+q. Per il secondo caso questo numero e’ k=2np, per il terzo k=p2q e per l’ultimo k=np.
Qui alcuni siti interessanti che parlano di classi di numeri, sequenze e teoria dei numeri per chi vuole approfondire.

http://www.bitman.name/home/      in italiano
http://oeis.org/
http://www.openproblemgarden.org/category/number_theory_0
http://math.ucalgary.ca/math_unitis/profiles/richard-guy 

venerdì 9 dicembre 2016

La matematica del Sudoku

 

imageIl gioco giapponese del sudoku, affonda le sue radici nei quadrati magici studiati da Eulero.

Un quadrato magico è uno schieramento di numeri interi distinti in una tabella quadrata tale che la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali dia sempre lo stesso numero; tale intero è denominato la costante magica del quadrato.

Il Sudoku si e’ subito diffuso in tutto il mondo, come era gia’ successo per il cubo di Rubik, il gioco del 15 e altri puzzles che periodicamente ritornano di moda.

Le regole sono molto semplici e occorre soltanto una matita e un foglio di carta. Si gioca su una tabella di nove per nove caselle in ognuna delle quali si deve inserire una cifra, da uno a nove. Ogni riga e ogni colonna deve contenere tutte le cifre da uno a nove senza ripetizioni. Condizione ulteriore, e questa è la novità, anche ogni blocco di caselle tre per tre, contrassegnato da linee più marcate, deve contenere le nove cifre, senza ripetizioni. Il Sudoku si presenta con una parte delle cifre già inserite nelle caselle (vedi figura 1). Per essere un vero Sudoku, deve inoltre avere un’unica soluzione. Richiede normalmente dai dieci minuti alla mezz’ora per essere risolto. Il nome originale del gioco, lanciato vent’anni fa dalla Nikoli, una casa editrice giapponese specializzata in giochi, era Suji wa dokushin ni kagiru ovvero “Numeri limitati ad una sola persona”, un nome sintetizzato in Sudoku, “Numeri unici”.

  image

Figura 1: Raffigurazione di un sudoku come si presenta al giocatore e la usa soluzione.

Per risolvere un Sudoku, esistono diverse tecniche a seconda della difficolta’ del Sudoku stesso. Una delle tecniche piu’ semplici e’ quella della “Singola posizione”.

Si sceglie una riga, una colonna o un box (il quadrato 3x3) e si analizzano i numeri che ancora non sono stati inseriti. A causa della presenza dei numeri iniziali, le posizioni dove poter inserire un nuovo numero sono limitate. Spesso ci sono 2 o 3 celle dove poter inserire un numero ma se si e’ fortunati ce ne sara’ solo una. Per esempio nel sudoku della figura 2, scegliendo la riga verde si vede subito che il numero 7 puo’ essere inserito solo sull’ultima celle verde verso destra.

Questo perche’ in qualsiasi altra cella verde lo avremmo inserito avrebbe generato delle colonne con due cifre 7.

image Figura 2: Tecnica della singola posizione.

Un'altra tecnica semplice e’ quella del “singolo candidato”. In questo caso ce' bisogno di una matita per scrivere in ogni cella i possibili candidati, esaminando le colonne, righe e box circostanti. Nel caso in cui il candidato e’ unico, immediatamente puo’ essere associato alla cella. In figura 3, viene mostrato un esempio di questa tecnica.

image Figura 3: Tecnica del singolo candidato (da sinistra verso destra).

Nella cella indicata in verde nel sudoku di centro, l’unico candidato e’ il 2, mentre nella cella sopra quella contenente il numero 8, i possibili candidati sono 1 e 2. A destra viene mostrato il sudoku dopo l’inserimento di tutti i candidati. Si vede immediatamente che, ci sono 3 celle (in verde) dove c’e’ un unico candidato che quindi puo’ essere associato definitivamente alla cella.

Esiste una tecnica che non dice quale numero inserire in una cella, ma aiuta invece a determinare quali sono le celle dove non e’ possibile inserire un numero. Con l’esempio riportato in figura 4, e’ facile capire come funziona questa tecnica chiamata la tecnica delle linee candidate.

image Figura 4: Tecnica della singola linea (da sinistra verso destra).

Nel quadrato indicato in verde ci sono due possibili celle (indicate in verde piu’ scuro) dove poter inserire il numero 4. Questo automaticamente fa si che e’ possibile rimuovere qualsiasi altro 4 lungo la colonna individuata dai due 4 del box in basso a sinistra come mostrato in figura 4 nelle ultime due griglie a destra.

Esistono altre tecniche simili che qui non vedremo.

Ma nel caso in cui il Sudoku sia particolarmente complicato quale tecnica usare? Ce ne sono alcune che sono molto semplici da capire ma complicate da applicare. Partiamo con la prima, la cosiddetta tecnica delle “catene forzate”. Per applicarla e’ necessario avere a disposizione piu’ di un foglio per prendere appunti.

  image Figura 5: Tecnica della catena forzata (da sinistra verso destra).

Osservando la figura 5, si capisce in che modo la scelta del valore 1 nella cella C3R1 (colonna terza e riga 1) forza il valore della cella C1R4 a 5. Infatti nel primo passaggio la scelta iniziale del 1, forza il valore 4 nella cella C3R4, che a sua volta forza il valore 7 nella cella C6R4 e quindi il valore 5 nella cella C1R4.

Si ripete poi la stessa operazione ma anziche’ partire col numero 1, si parte col numero 2 (vedi figura 6).

image Figura 6: Tecnica della catena forzata (da sinistra verso destra).

In questo caso la catena che viene fuori e’ molto lunga, ma alla fine forza sempre il numero 5 nella cella C1R4. Poiche’ due diverse scelte portano allo stesso numero nella cella C1R4 questo significa che il 5 e’ il numero da associare a questa cella.

La seconda tecnica normalmente utilizzata per risolvere Sudoku complessi e’ quella che va sotto il nome di X-Wing. Osserviamo la figura 7, partendo dalla riga 4 e 9 dove abbiamo 4 celle con il 6 un possibile candidato.

  image Figura 7: Tecnica X-Wing

Il trucco per capire la tecnica del X-Wing e’ quello di immaginare cosa succederebbe se uno scegliesse il 6 in una di queste quattro celle. Se scegliamo il 6 in C3R4 questo implica che non e’ possibile avere lo stesso numero in C9R4 e C3R9 come si puo’ vedere dalla griglia centrale in alto della figura 7. Questa scelta forza la cella C9R9 ad avere 6 come candidato. In altre parole un 6 nella cella in alto a sinistra del quadrato iniziale (vedi griglia in basso a sinistra) forza lo stesso valore nella cella in basso a destra. Esattamente con la stessa logica, un 6 nell’angolo in alto a destra del quadrato dovrebbe forzare lo stesso valore nella cella in basso a sinistra (vedi griglia centrale in basso della figura 7). Detto cio’ e’ chiaro che non e’ possibile avere altri 6 nelle due colonne C3 e C9. Questo ci permette di cancellare quasiasi numero 6 che compare come possibile candidato. Nell’esempio di figura 7, e’ possibile rimuovere il 6 da due celle della colonna C9, che lascia la cella C9R1 con un 8.
A causa della grande popolarita’ del Sudoku, diversi matematici e scienziati del computer hanno lavorato su diverse questioni emerse da questo gioco. La prima di queste riguarda il possibile numero di griglie. In altre parole, stabilire qual’e’ il numero di griglie possibili di Sudoku che possono essere create o equivalentemente il numero di modi in cui e’ possibile riempire una griglia 9x9 con i numeri da 1 a 9 soddisfando le regole del Sudoku.

Per rispondere a tale domanda e’ necessario utilizzare tutte le possibili permutazioni e le proprieta’ di simmetria della griglia del Sudoku.

Bertram Felgenhauer del Dipartimento di Scienza dei computer dell’Universita’ di Dresda e Frazer Jarvis del Dipartimento di Matematica dell’Universita’ di Sheffield in Inghilterra, usando la forza-bruta dei computer sono arrivati a calcolare il numero di griglie valide di Sudoku. Un numero veramente grande: 6670903752021072936960 (circa 6.67*1021). Senza considerare le regole del Sudoku elencate all’inizio del capitolo, il numero di possibili griglie sarebbe 981 . Ovviamente per contare le possibili griglie questo numero dovrebbe essere ridotto eliminando tutte quelle configurazioni che non soddisfano le regole.

Se consideriamo un qualsiasi blocco del Sudoku, questo puo’ avere 9! (362880) possibili configurazioni. I possibili modi con cui arrangiare la “banda” in alto (l’insieme dei tre blocchi da 3x3 celle) saranno dati dal prodotto di 9! del primo blocco per il numero di modi in cui e’ possibile arrangiare il blocco 2 della banda superiore e il numero di modi in cui e’ possibile arrangiare il blocco 3 (quello a destra in alto della griglia del Sudoku).

Questo prodotto e’ uguale a 6.67*1021. Comunque se consideriamo la simmetria della griglia del Sudoku questo numero e’ destinato a diminuire. Per simmetrie, intendiamo quelle operazioni che quando applicate alla griglia del Sudoku, esse creano un’altra griglia che e’ essenzialmente equivalente all’originaria. Per prima cosa etichettiamo una griglia del Sudoku come riportato in figura 8.

 

image Figura 8: Griglia del Sudoku etichettata con le lettere.

La colonna ADG e’ chiamata una “pila”, mentre la riga ABC e’ detta una “striscia”.La selezione di specifici valori per uno qualsiasi dei quadrati e’ conosciuta come “Ri-etichettatura”. L’arrangiamento delle cifre da 1 a 9 nel blocco A, e’ un esempio di operazione di ri-etichettatura. Oltre questa operazione, sono possibili anche le:

· Permutazioni delle “strisce”

· Permutazioni delle “pile”

· Permutazioni delle colonne all’interno delle “pile”

· Permutazioni delle righe all’interno delle “strisce”

· Riflessione o rotazione della griglia.

Frazer Jarvis e Ed Russel, in un lavoro intitolato “Mathematics of Sudoku”, hanno individuato 3359323 simmetrie. Una di queste e’ quella rappresentata in figura 9, dove la griglia riportata rimane praticamente la stessa se sottoposta ad una rotazione di 90 gradi e di ri-etichettatura 1—>3—>9—>7—>1 e 2—>6—>8—>4—>2. Il 5 rimane fisso.

image Figura 9: Griglia di Sudoku che rimane la stessa in seguito ad operazione di rotazione e ri-etichettatura

Tenendo conto di tutte le simmetrie, gli autori sono arrivati a stabilire che tutte le possibili griglie differenti del Sudoku sono 5472730538.

Normalmente, il Sudoku deve avere una sola soluzione, altrimenti il puzzle non e’ valido. Per essere sicuri di cio’, i puzzles sono presentati con un numero di cifre gia’ presenti nella griglia iniziale, lasciando al giocatore la deduzione delle rimanenti cifre da inserire nelle celle libere. Al momento il migliore risultato ottenuto sul minimo numero richiesto nella griglia iniziale e’ di 17 cifre. Questo e’stato ottenuto dal professore Gordon Royle dell’Universita’ dell’Australia. Attualmente non si sa se con 16 cifre iniziali il Sudoku ammette una singola soluzione. Tutte le griglie con 17 entrate iniziali, vengono chiamate i Sudoku minimi. Al momento si conoscono 47793 diversi Sudoku minimi.

Per analizzare il gioco del Sudoku e’ possibile anche utilizzare la teoria dei grafi. E’ quello che hanno fatto Agnes M. Herzberg e M. Ram Murty in un loro lavoro apparso sul giornale Notices of the AMS di Giugno/Luglio 2007. E’ possibile pensare alla griglia del Sudoku, come agli 81 nodi di un grafo. Ogni cifra da 1 a 9 puo’ essere colorato in modo diverso, e due nodi possono essere connessi se e solo se le due celle che essi rappresentano si trovano nella stessa riga, colonna o quadrato 3x3. Poiche’ nessuna riga, colonna o blocco 3x3 puo’ contenere piu’ di una volta lo stesso numero, questo significa che il grafo non avra’ connessioni tra nodi dello stesso colore. Nel linguaggio della teoria dei grafi, un grafo colorato senza connessioni tra nodi dello stesso colore si chiama un “grafo colorato proprio”.

Quello che i giocatori di Sudoku, quindi, fanno tutti i giorni, e’ cercare di estendere un grafo parzialmente-colorato (la griglia iniziale) ad un grafo colorato proprio.
Grazie a questa analogia tra Sudoku e grafi, Herzberg e Murty hanno utilizzato le tecniche dei grafi per provare alcuni teoremi riguardanti il Sudoku.

Per esempio, hanno provato che il numero di modi per trasformare un grafo parzialmente colorato e’ dato da un polinomio. Se il valore di questo polinomio e’ zero per una certa griglia Sudoku, allora il puzzle non ha soluzione. Se il valore e’ 1, allora il puzzle ha una sola soluzione e cosi via. Essi hanno anche dimostrato che affinche’ un Sudoku abbia un’unica soluzione, ci devono essere almeno 8 delle 9 cifre presenti nella griglia iniziale come entrate. Se vengono dati solo 7 numeri, allora il puzzle ha almeno due soluzioni.

Tenendo presente, quindi, il risultato di G. Royle, per avere un’unica soluzione dobbiamo garantirci che nella griglia iniziale ci siano almeno 17 numeri e che questi siano rappresentati da 8 diverse cifre. Per esempio con una sequenza del tipo:

1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, 2, 2, 3, 4, 1, 1, 9, 4, 7, 2

come entrate iniziali il puzzle avra’ sicuramente una soluzione unica.

E’ possibile pensare che nel caso ci sia un numero di entrate superiore a 17, sia abbastanza probabile avere un’unica soluzione del Sudoku. E invece non e’ sempre cosi. L’articolo di Herzberg e Murty, riporta un esempio di una griglia con 29 numeri iniziali che ha due differenti soluzioni. Niente male per un rompicapo come il Sudoku. Un altro ricercatore, David Eppstein dell’Universita’ della California, ha applicato anche lui la teoria dei grafi per costruire nuovi metodi di soluzione.

Supponiamo di avere un Sudoku che e’ stato risolto parzialmente. Assegniamo ad ogni cella vuota un nodo del grafo, e connettiamo i nodi con archi etichettati coi numeri candidati per la cella. Eppstein definisce un ciclo non ripetitivo, un tour chiuso che non ha due archi (edge) consecutivi con la stessa etichetta e ciclo ripetitivo uno in cui e’ possibile trovare due archi consecutivi con la stessa etichetta. I connettori consecutivi sono quelli che condividono uno stesso nodo (per esempio A e B sotto).

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Vediamo come funziona il metodo nel caso di cicli non ripetitivi. In questo caso, per qualsiasi cella C del ciclo, con due archi etichettati con A e B che insistono su di essa, il valore di C puo’ essere solo A o B. Nell’esempio della figura 10, la cella C e’ quella sulla sinistra in basso della griglia. Poiche’ i due archi che insistono su questa cella hanno come numeri 2 e 3 significa che la cella C dovra’ avere uno di questi due numeri. La griglia in alto a sinistra e’ il Sudoku parzialmente completato con altri metodi. In basso a destra invece viene mostrato il puzzle risolto.

image Figura 10: Metodo del ciclo non ripetitivo di Eppstein.

In caso di ciclo ripetitivo, se ad un nodo confluiscono due archi con la stessa etichetta, la cella associata al nodo del grafo non puo’ che avere come valore l’etichetta delle connessioni. Nell’esempio di figura 11, il nodo indicato in nero non puo’ che avere come valore il numero 4.

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Figura 11: Metodo del ciclo ripetitivo di Eppstein.

venerdì 2 maggio 2014

Terremoti nel cervello. Legge di potenza per l’epilessia.

 

Verso la fine degli anni ottanta, il neurologo Ivan Osorio

dopo anni di ricerca, si rese conto che non si poteva  capire a fondo cosa determinasse nel cervello l’aumento improvviso dell’attività elettrica conosciuta come attacco epilettico.

Cominciò così a guardarsi intorno, al di fuori del campo medico per cercare di trovare delle similitudini con altri fenomeni. Fu cosi che scoprì per caso la forte somiglianza tra gli attacchi epilettici e i terremoti e subito iniziò a studiare le leggi che regolano quest’ultimi per cercare di gettare nuova luce su cosa avviene nel cervello durante gli attacchi di epilessia. Questo collegamento fu trovato indirettamente, leggendo un articolo pubblicato da uno psicologo su Nature nel 1967, Graham Goddard, che aveva descritto un particolare fenomeno chiamato “kindling”.

Questo scienziato aveva scoperto che stimolando continuamente il cervello di alcuni ratti con impulsi di basso voltaggio, una volta che si innescava un attacco epilettico, c’era bisogno di una stimolazione elettrica minore rispetto alla precedente, per indurre un secondo attacco epilettico. Goddard chiamò questo fenomeno “kindling” in quanto gli ricordava quello che succede, quando si vuole accendere un gran fuoco e si parte con l’usare gradualmente sempre più ramoscelli. All’inizio c’è bisogno di tanti ramoscelli, ma poi quando il fuoco è andato, basta l’aggiunta di pochi ramoscelli per tenerlo acceso.

Si tratta di un fenomeno dove lentamente c’è un accumulo di energia che poi viene rilasciata istantaneamente. I vari impulsi elettrici creano piccoli attacchi epilettici, che accumulandosi pian piano portano poi ad una violenta scarica. Ricorrendo ad un’altra analogia, e’ come avere un mucchietto di sabbia dove  l’aggiunta di un unico granello, genera delle micro-valanghe (piccoli attacchi epilettici) e porta gradualmente il sistema in uno stato critico. A quel punto l’arrivo di un nuovo granello di sabbia può generare una valanga di grandi dimensioni (scarica epilettica violenta).

Nell’ambito dei sistemi complessi, questo rilascio improvviso di energia si chiama ‘rilassamento’. I tempi che intercorrono tra due eventi di rilassamento, in genere, sono molto lunghi, e la quantità di energia rilasciata è cosi grande che può avere delle conseguenze catastrofiche. In base a queste considerazioni è possibile considerare gli attacchi epilettici come degli eventi di rilassamento del cervello?

I sistemi complessi (come i terremoti, internet, i mercati finanziari ...) sembrano mostrare tutti la stessa legge di rilassamento. Ogni volta che all’interno di un sistema complesso, c’è un turbamento, una scossa, un evento estremo che sposta il sistema dal suo stato tipico, esso si rilassa seguendo una legge ben precisa: la legge di Omori.

Omori trovò la sua legge analizzando gli eventi sismici. Da allora in poi i ricercatori hanno verificato che tutti i sistemi complessi sembrano mostrare la stessa legge indipendentemente dal contesto. La legge è una legge di potenza con un andamento del tipo t, dove t è il tempo trascorso rispetto all’evento catastrofico ed alfa una costante. Nel caso dei terremoti, per esempio, la legge di Omori stabilisce che il numero di eventi sismici dopo la scossa principale per unità di tempo, decresce nel tempo con legge di potenza. Questo significa che subito dopo la scossa principale ci sarà un numero elevato di scosse di minore intensità e che questo numero poi rapidamente decadrà andando a zero ma molto, molto lentamente. Ecco perchè anche dopo mesi da una prima scossa si hanno ancora eventi sismici significativi. Il sistema per ritornare al suo stato iniziale, cioè a quello esistente prima della scossa, impiega un tempo lunghissimo. Nella figura 1, viene mostrato il numero di scosse nel tempo per il terremoto che ha colpito l’Aquila il 6 Aprile del 2009. Si può vedere chiaramente l’andamento previsto da Omori (curva color fucsia) con un esponente pari a circa 0.4.

 

Figura 1 Legge di Omori per il terremoto dell’Aquila dell’Aprile 2009.

 

 

 

Figura 2 Legge analoga a quella di Omori per l’andamento della magnitudine massima giornaliera del terremoto dell’Aquila dell’Aprile 2009.

 

Nella figura 2, è riportata invece l’andamento giornaliero della massima magnitudo registrata. Anche in questo caso si può notare un andamento simile alla legge di Omori con un esponente pari a 0.185.

Ma ritorniamo adesso all’epilessia.

Osorio e il matematico dell’Università del Kansas, Mark Frei, avevano presentato la loro idea a diversi congressi, fino a, quando incontrarono il neurologo John Milton, che gli suggerì di confrontare gli attacchi epilettici ai sistemi complessi incluso i terremoti. L’idea era semplice: usare le leggi di un fenomeno per risolvere i misteri di un altro.

Lo stesso Milton favorì l’incontro di Frei e Osori con il geofisico Didier Sorniette, esperto di teoria delle catastrofi e dei sistemi complessi, per cercare di applicare i concetti fisici sviluppati in ambiti diversi, alle previsioni degli attacchi epilettici. Questo team di ricercatori ha eseguito un’analisi quantitativa, confrontando 16.032 casi di attacchi epilettici e 81.977 eventi sismici con magnitudo maggiore di 2.3. Gli attacchi epilettici sono stati definiti come il rapporto adimensionale dell’attività elettrica del cervello in una particolare banda di frequenze con un valore superiore a 22 ed una durata di almeno 0.84 secondi. Da questi dati, sono poi stati estratti due parametri caratteristici: l’energia E (intesa come il prodotto del picco dell’attacco epilettico per la sua durata) e l’intervallo di tempo tra due attacchi consecutivi. Per i terremoti, invece, è stato considerato il momento sismico definito come:

S~101.5M

dove M è la magnitudo del sisma. Nella figura 3 è riportato il confronto tra un segnale epilettico e quello di un sisma. Notare la forte somiglianza tra i due. Stessa cosa per la figura 4, dove viene riportata la distribuzione di probabilità (PDF) per l’energia nel caso degli attacchi epilettici e il momento sismico S dei terremoti. Per entrambi i sistemi, la probabilità che un evento abbia un’energia o un momento sismico maggiore di x è proporzionale a  x-β  dove β~2/3.

Questa distribuzione si differenzia da quella Gaussiana per la presenza di una lunga coda a destra, che si riflette nella presenza di eventi estremi che accadono con una probabilità non trascurabile. Questi eventi estremi si trovano a diverse deviazioni standard dal valore medio predetto dalla distribuzione di Gauss. Queste proprietà sono anche riflesse nel fatto che distribuzioni di potenza illimitate con beta uguale a 2/3 hanno una media ed una varianza infinita.

Un risultato analogo è stato ottenuto per l’intervallo temporale tra due eventi successivi.

 

Figura 3 Confronto tra il segnale elettrico di un attacco epilettico (A) e quello di un terremoto (B). Notare la forte somiglianza.

 

Figura 4 Densità di probabilità del momento sismico e degli attacchi epilettici. Entrambe le statistiche sono compatibili con la stessa legge di potenza con esponente ̴ 2/3.

 

La figura 5, mostra come entrambe le densità di probabilità approssimativamente seguono una legge di potenza sebbene con una pendenza diversa.

Com’è possibile che questi sistemi operanti su scale spaziali e temporali completamente diverse, con processi alla base decisamente diversi, esibiscano tante somiglianze da un punto di vista statistico?

 

Figura 5 Densità di probabilità degli intervalli temporali tra due attacchi epilettici successivi (curva rossa) e tra due terremoti (curva blu).

 

Una possibile speculazione per tale somiglianza potrebbe venire dal fatto che entrambi questi sistemi sono formati da tanti elementi interagenti in competizione tra loro, e che la maggior parte di tali sistemi esibiscono un comportamento auto-organizzato con una statistica che segue una legge di potenza. In parole semplici, gli attacchi epilettici come i terremoti accadono quando l’attività del cervello o della crosta terrestre, visitano la parte destra della distribuzione dell’energia/magnitudo o allo stesso modo la parte sinistra della distribuzione degli intervalli temporali tra due attacchi epilettici o tra due scosse successive. Sia il cervello che la crosta terrestre possono essere simulati con un sistema di oscillatori non-lineari con dinamica instabile e un numero elevatissimo di interconnessioni con proprietà frattali o auto-somiglianti, che si ripetono attraverso una vasta gerarchia di scale spaziali. L’analisi dinamica di tali sistemi ha mostrato che essi si trovano al confine tra lo stato ordinato e quello caotico, come tanti altri sistemi complessi. Una caratteristica fondamentale dei sistemi complessi è proprio la capacità di visitare sia zone ordinate che quelle caotiche (pensate ad un’autostrada dove all’improvviso si forma un ingorgo senza alcun motivo apparente e senza nessun motivo scompare all’improvviso) facendo tesoro dell’esperienza accumulata (effetto memoria o feed-back). Per questi sistemi la somma è maggiore delle parti nel senso che il sistema come un tutt’uno riesce a mostrare comportamenti decisamente complessi che nessuna delle singole parti riuscirebbe a mostrare. È solo l’azione di gruppo, l’interazione tra la maggior parte degli elementi del sistema a far emergere un tale comportamento. La scienza della complessità contrariamente alla fisica riduzionista non cerca di dividere un sistema in parti più semplici da studiare ma cerca di analizzare il sistema come un unico “corpo” che vive ed interagisce con il mondo che lo circonda (sistema aperto da un punto di vista termodinamico). È molto probabile che tutti i sistemi complessi siano retti da leggi universali la cui comprensione potrebbe definitivamente gettare una nuova luce sul comportamento della natura e dell’Universo. Ancora una volta la matematica sembra essere l’unica chiave per aprire la serratura della Natura, e riuscire, così, a carpire il segreto ultimo delle cose.

 

Per approfondire:

http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/0712/0712.3929.pdf

http://chaos1.la.asu.edu/~yclai/papers/PRE_010_OFSML.pdf

http://www.wikio.it