domenica 25 febbraio 2018

Come torturare i dati per farli parlare

Il post di oggi e’ anomalo. Non si tratta del solito articolo. Ma di due presentazioni fatte alcuni anni fa per introdurre le tecniche di data mining/machine learning e  un ottimo software free (Orange) che ognuno puo’ scaricare ed utilizzare per fare un po’ di pratica. In queste slides vengono descritti i concetti base del machine learning, delle tecniche analitiche e del data mining quali decision tree, clustering, analisi di Bayes, association rules, self organizing maps, supported vector machines, random forest etc . L’idea alla base di queste due presentazioni è stata quella di introdurre i partecipanti (adesso i lettori del blog) nel mondo degli algoritmi sviluppati dalla cosiddetta computer science di cui tanto si sente parlare in ambiti quale l’internet delle cose, automobili senza guidatori, robots, droni  solo per citarni alcuni.

Il machine learning e’ fondamentale nello studio dei sistemi complessi in cui a causa dell’elevato numero di componenti e delle loro interazioni fortemente non lineari non si possono modellizzare facilmente. L’unica possibilita’ e’ quella di mettere al lavoro gli analytics oggi disponibili per cercare nella vasta mole dei dati le relazioni fondamentali, i patterns piu’ importanti, le informazioni nascoste come pepite all’interno delle miniere. Gli algoritmi di machine learning permettono di tirare fuori dai dati le informazioni utili riducendo in modo opportuno il volume dei dati. Pensate ad una piramide. Man mano che si sale verso l’alto, cioe’ man mano che il volume diminuisce emerge l’informazione.  MI fermo qui e vi lascio alle circa 200 slides. Buona lettura.  

Data mining e machine learning

Introduzione ad Orange


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domenica 28 gennaio 2018

Gallerie spazio-temporali per unire relativita’ e quantizzazione


Nel 1935, alcuni fisici pubblicarono due articoli in cui venivano introdotti due concetti chiave dell’attuale cosmologia: l’entaglement e i wormholes.

Vediamo un attimo di cosa si tratta partendo dall’entaglement. Secondo la meccanica quantistica, le particelle entagled rimangono connesse tra loro anche se si trovano a distanze quasi infinite. Qualsiasi azione eseguita su una delle due particelle influenza il comportamento dell’altra. Questo significa per esempio che se in seguito ad una misura dello spin di una delle due particelle lo si trova up, quello dell’altra anche se misurato un’istante dopo sara’ down. Lo spin in meccanica quantistica e’ una grandezza fisica associata alle particelle e che ne definisce il loro stato quantico. Questa grandezza e’ una forma di momento angolare, avendo in comune la stessa dimensione. Per analogia richiama alla mente la rotazione di una particella intorno al proprio asse.

L’entaglement ha luogo quando le particelle interagiscono tra loro fisicamente. Per esempio un laser colpendo un particolare tipo di cristallo puo’ generare coppie di fotoni entagled che pur allontanandosi tra loro sempre di piu’ rimangono in connessione. Questa teoria che irrito’ non poco Einstein e’ anche riferita come “la spaventosa azione a distanza”. Come e’ possibile che due particelle anche a distanze enormi possano influenzarsi a vicenda subito se qualsiasi segnale nell’universo non puo’ viaggiare a velocita’ maggiore di quella della luce?

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Passiamo adesso ai wormhole. Grazie alla teoria di Einstein oggi sappiamo che la trama del nostro universo e’ lo spazio-tempo. Esso puo’ essere deformato e distorto. Per fare questo lo spazio-tempo ha bisogno di grandi quantita’ di massa o di energia, ma teoricamente queste distorsioni sono possibili. Nel caso di un wormhole, si tratta di una scorciatoia ottenuta grazie alla deformazione del tessuto spazio-temporale. Immaginiamo di disegnare due punti su di un foglio di carta e di misurarne la distanza. Adesso pieghiamo il foglio in due sovrapponendo i due punti e attraversandoli con una penna. La distanza tra essi e’ decisamente inferiore a quella di prima. E’ esattamente quello che succede con un wormhole. Il problema di queste strutture e’ che essi sono instabili. Quando una particella vi entra dentro crea delle fluttuazioni che fanno collassare la struttura.
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Nel 2013 Leonard Susskind un fisico di Stanford e Juan Maldacena dell’Advanced Study of Princeton hanno ipotizzato che questi due fenomeni siano la stessa cosa e questo potrebbe creare un ponte tra la teoria della relativita’ generale e la meccanica quantistica. Uno dei problemi più difficili che la fisica oggi si trova ad affrontare riguarda proprio queste due teorie  che funzionano perfettamente nel loro dominio di validita’ e che vanno invece in conflitto quando si cerca di combinarle. Susskind e Maldacena hanno riassunto il tutto in un’equazione: ER=EPR.
Non si tratta di un’equazione numerica, ma piuttosto di un’equazione con le iniziali dei nomi di alcuni importanti fisici teorici.
Nella parte a sinistra, ER stanno ad indicare Einstein e Nathan Rosen che in un articolo del 1935 descrissero la struttura dei wormhole, noti tecnicamente come ponti di Einstein-Rosen. A destra, invece, EPR stanno per Einstein, Rosen e Boris Podolsky, quest’ultimo co-autore di un altro articolo di quello stesso anno in cui veniva descritto l’entanglement quantistico. L’equazione semplicemente getta un ponte tra i wormhole e l’entaglement. E questa connessione potrebbe spiegare la continuita’ dello spazio tempo che diventerebbe cosi la manifestazione geometrica dell’entaglement.

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Susskind va oltre e pensa che l’entaglement quantistico sia una forma di informazione, una stringa di 1 e di 0, e che quindi lo spazio tempo altro non sia che una manifestazione dell’informazione quantistica. Il principio ER=EPR, getta le basi per lo sviluppo della gravita’ quantistica anche se al momento non e’ chiaro come. E’ possibile che quando in laboratorio creiamo per esempio dei fotoni entangled questi siano connessi tramite un microscopico wormhole? Al momento nessuno lo sa anche se e’ affascinante pensare di si. In un nuovo articolo Susskind propone uno scenario dove ipotizza che delle particelle inizialmente entagled (correlate) si muovano in direzioni opposte dell’universo. Una volta lontane tra loro queste particelle collassano in buchi neri soggette alla loro stessa forza di gravita’. Secondo Susskind questi due buchi neri sono a loro volta connessi (entangled) tramite un gigantesco wormhole che attraversa l’universo da una parte all’altra. Dunque se l’equazione ER=EPR e’ giusta vuol dire che i due buchi neri saranno collegati da un gigantesco tunnel spazio temporale e l’entaglement altro non e’ che la descrizione geometrica di tali oggetti.
Teoria a dir poco sbalorditiva. Ma c’e’ la possibilita’ di provarla? Difficile dirlo. Di sicuro ci sono sempre piu’ ricercatori che iniziano a studiare questa ipotesi ed e’ possibile che in un prossimo futuro si riesca a gettare luce su uno dei misteri della Natura che assilla le menti di molti scienziati da quasi un secolo.
Secondo Susskind, “sembra ovvio che se ER = EPR è vera, allora siamo di fronte a qualcosa di grosso che potrebbe influenzare le fondamenta e le interpretazioni della meccanica quantisica. Se ho ragione, la meccanica quantistica e la gravità sono ancora di più correlate di quanto (almeno io) abbiamo mai pensato”.
https://arxiv.org/pdf/1707.04354
https://arxiv.org/pdf/1306.0533.pdf
https://arxiv.org/pdf/1604.02589

venerdì 10 novembre 2017

Dallo spazio nuove informazioni sulla piramide di Cheope

La notizia e’ di qualche giorno fa. La soluzione alla fine e’ arrivata dallo spazio nonostante gli sforzi fatti dal califfo Ma’mun intorno all’ 820, dagli avventurieri europei del 800 o dai moderni esploratori di oggi. Un team di fisici (ScanPyramid2017) utilizzando i prodotti delle reazioni dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre ha scoperto una camera al di sopra della Grande Galleria nella piramide di Cheope. I raggi cosmici sono delle particelle energetiche che bombardano continuamente la Terra e provengono dallo spazio esterno. La loro natura e’ varia come anche la loro origine. Il loro spettro energetico e’ distribuito su 14 ordini di grandezza come mostrato qui di seguito dove viene riportato il flusso (numero di muoni per unita’ di superficie, per unita’ di angolo, per unita’ di tempo e per unita’ di energia) in funzione dell’energia. La parte colorata in giallo si pensa provenga dal sole, quella azzura che sia di origine galattica (la nostra Via Lattea) e quella in viola di origine extragalattica.




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Al di sopra dell’atmosfera, i raggi cosmici sono costituiti per circa il 90% da protoni, e per il circa 10% da nuclei di elio. Dopo l’interazione di queste particelle primarie con l’atmosfera terrestre si creano degli sciami di nuove particelle tra cui mesoni, neutroni, protoni ed elettroni. I mesoni a loro volta subito decadono in muoni, particelle elementari con una massa circa 200 volte maggiore di quella dell’elettrone e una vita media di circa 2 microsecondi. Esistono in due stati di carica (positiva e negativa) e sono soggetti oltre all’interazione gravitazionale a quella debole e quella elettromagnetica. La velocita’ con la quale arrivano al livello del mare e’ quasi prossima a quella della luce.


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I muoni fanno parte della cosiddetta componente dura della radiazione secondaria dei raggi cosmici, in quanto riesce a penetrare spessori di materiale di oltre un metro. Ed e’ proprio grazie a questo tipo di particelle penetranti molto piu’ dei noti raggi X, che e’ stato possibile stabilire con buona accuratezza che al di sopra della grande galleria della piramide di Cheope ci sia una seconda camera lunga circa 30 metri. I due colori rosso e blu dell’immagine di seguito indicano la possibile orientazione di questa nuova camera.

clip_image007Gli antichi Egizi edificarono le piramidi non solo come tombe dei faraoni, ma anche come luogo di culto per il Sole. Si dice che gli angoli delle piramidi rappresentino una proiezione dei raggi del Sole che scendono sulla Terra per elevare i faraoni verso il cielo. Nella piana di Giza, oltre alla Sfinge, ci sono le piramidi di Kefren, Micerino e quella di Cheope, l’unica meraviglia del mondo antico conservatasi fino ai giorni nostri e che da sempre ha affascinato gli studiosi perche’ ancora oggi non e’ chiaro come sia stata edificata. Secondo l’egittologia classica essa venne costruita dal faraone Khufu (anche conosciuto come Cheope) tra il 2509 e il 2483 AC con dei blocchi di granito e calcare e con un’altezza di circa 140 metri. In origine, era coperta da un rivestimento in pietra che formava una superficie esterna liscia; ciò che si vede oggi è la struttura di base sottostante. Alcune delle pietre del rivestimento che un tempo ricoprivano la struttura sono ancora visibili attorno alla base. Ci sono state diverse teorie scientifiche e alternative circa le tecniche di costruzione della Grande Piramide. Le ipotesi di costruzione più accreditate si basano sull'idea che la piramide sia stata edificata spostando da una cava enormi blocchi che una volta trascinati siano stati sollevati in posizione. Si e’ sempre pensato che questa piramide avesse tre stanze: la camera sotterranea, la camera della regina e la camera del re. Queste camere sono connesse tra loro da diversi corridoi, di cui la Grande Galleria e quello piu’ importante. Tutto questo fino all’arrivo della nuova scoperta. clip_image009Per vedere attraverso la piramide, i ricercatori hanno usato una tecnica sviluppata dai fisici delle alte energie che sfruttano degli appositi rivelatori per segnalare il passaggio dei muoni. In pratica si tratta di una radiografia che invece di utilizzare i raggi X adatti per le ossa, usano i muoni, particelle che ci bombardano quotidianamente ad un ritmo di circa 10000 per minuto e per metro quadro. Questa tecnica e’ stata usata con successo per lo studio di vulcani e per individuare tra l’altro i danneggiamenti prodotti dal reattore nucleare di Fukushima in Giappone giusto per fare qualche esempio.
Nel 2015, il professore Kunihiro Morishima dell’universita’ giapponese con un suo team di ricercatori, piazzo’ dei rivelatori all’interno della camera della regina, allo scopo di rivelare il passaggio dei muoni dall’alto della piramide. Ovviamente queste particelle vengono parzialmente assorbite o deviate dalla pietra sovrastante la camera della regina, in modo che ogni cavita’ nella piramide dovrebbe permettere a piu’ muoni di raggiungere i rivelatori. Il flusso integrato di muoni I(rho,theta) raccolti dai rivelatori e’ dato dalla formula:

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dove I e’ il numero di muoni che arrivano al rivelatore per unita’ di area, di angolo e di tempo (cm-2 sr-1 sec-1). Emin rappresenta l’energia minima necessaria ad un muone per attraversare la roccia di densita’ rho prima di colpire il rivelatore. E’ in questa variabile che entra in gioco la composizione del materiale che viene attraversato dai muoni, e che nel nostro caso e’ la roccia della piramide. La quantita’:
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rappresenta lo spettro dei muoni incidenti con un’energia E0 e ad un angolo theta, cioe’ il numero di muoni per unita’ di energia, per unita’ di angolo per unita’ di area e per unita’ di tempo. Questa funzione puo’ avere diverse forme a secondo del modello utilizzato. Qui di seguito un esempio di flusso integrato dei muoni in funzione della lunghezza (in metri di roccia equivalenti) della roccia attraversata ad un particolare angolo di incidenza per diversi modelli di spettro muonico phi (Gaisser/Music, Reyna/Bugaev, Reyna/Hebbeker).clip_image013Dopo alcuni mesi di raccolta dati, ci fu il sospetto che potesse esserci realmente una cavita’ al di sopra della grande galleria. Per questo motivo altri 2 teams di ricercatori franco-giapponesi entrarono nel progetto piazzando altri rivelatori all’interno e all’esterno della grande piramide. I risultati pubblicati su Nature alcuni giorni fa sono esattamente il resoconto del lavoro di questi 3 teams negli ultimi 2 anni. Qui di seguito delle immagini dei rivelatori usati in diversi punti della piramide. Si tratta di 3 tipi diversi di rivelatori. I primi due a partire dalla sinistra sono dei rivelatori ad emulsione, mentre gli ultimi due sono dei rivelatori scintillanti e a gas rispettivamente.


clip_image015I rivelatori ad emulsione sono stati realizzati usando un film fotografico speciale capace di rivelare i muoni come si vede nell’immagine seguente. Il film fotografico e’ realizzato con cristalli di bromuro di argento del diametro di 200 nm coperti poi con un film di polistirene trasparente. Quando la particella passa attraverso lo strato di emulsione (vedi immagine c) la sua traiettoria tridimensionale viene registrata e puo’ essere rivelata grazie allo sviluppo fotografico successivo. Grazie alla conoscenza precisa della dimensione e struttura dei grani di bromuro di argento, le tracce delle particelle possono essere ricostruite con un accuratezza minore del micron.


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clip_image019I risultati ottenuti in due diversi punti della piramide indicati con NE1 ed NE2 nei due anni di collezionamento dati (a e b qui sotto) sono stati confrontati con quelli ottenuti da simulazione Montecarlo considerando la struttura della piramide oggi conosciuta (c e d). Questi confronti mostrano chiaramente che le strutture conosciute si vedono dove ci si aspetta di vederle e che in piu’ si nota un chiaro segnale di muoni in eccesso (scritta new void). La quantita’ di muoni in eccesso e’ paragonabile a quella generata dalla grande galleria e quindi e’ logico pensare che la dimensione di questa nuova camera sia confrontabile a quella della grande galleria.

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clip_image023Oltre alle emulsioni sono stati utilizzati anche dei rivelatori a scintillazione. Si tratta di 4 strati di scintallatore plastico ognuno costituito da 120 barre di 1x1 cm2. Ricordiamo che uno scintillatore e’ un materiale capace di emettere luce visibile o ultravioletta quando viene attraversato da particelle cariche o fotoni. Qui di seguito le immagini ottenute in due posizioni diverse H1 e H2 della piramide e con c e d le immagini ottenute con la simulazione Montecarlo. Come per le emulsioni si nota un chiaro segnale che indica una regione vuota al di sopra della grande galleria (e ed f).clip_image025La terza specie di rivelatori utilizzata per l’esperimento e’ stata quella a gas. Quando una particella entra nel serbatoio contenente il gas lo ionizza e gli elettroni strappati vengono spinti verso l’elettrodo a potenziale positivo. In prossimita’ di questo gli elettroni riescono a creare delle vere e proprie valanghe ioniche che colpiscono il rivelatore.clip_image026Si tratta di rivelatori molto robusti che possono essere utilizzati anche all’esterno. Ognuno di questi rivelatori e’ costituito da 4 aree attive identiche di dimensione 50x50 cm2. Essi sono stati piazzati di fronte alla faccia nord della piramide, puntati nella direzione della grande galleria. Dopo 2 mesi di acquisizione dati si ‘ registrato un eccesso significativo di muoni che avevano colpito i rivelatori a gas confermando ancora una volta la presenza di un vuoto al di sopra della galleria. Qui di seguito le immagini in 2D in due posizioni diverse (vedi h) con due chiari picchi nel segnale (b,c,e,f) che indicano la grande galleria e la nuova stanza al di sopra di essa.clip_image028
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Tutte e tre le tecniche hanno confermato lo stesso risultato: la presenza di un vuoto localizzato tra 40 e 50 m dal pavimento della camera della regina. La sua lunghezza e’ piu’ di 30 m e la sua forma e’ simile a quella della grande galleria. Di sicuro questa scoperta mostra come i metodi sviluppati nell’ambito della fisica delle particelle puo’ gettare una luce sulle costruzioni antiche piu’ importanti e di sicuro in futuro richiedera’ una maggiore collaborazione interdisciplinare per cercare di capire meglio la grande piramide e di come essa fu costruita. Questo annuncio di sicuro ha gettato scompiglio tra gli egittologi di mezzo mondo facendo riemergere tante domande da tempo senza risposte. Questa stanza segreta contiene il tesoro che da millenni ci cerca nella piramide? Nasconde la tomba di Cheope la cui mummia non e’ mai stata trovata? Rivelerà finalmente i misteri della costruzione del più imponente edificio dell’antichità? Mehdi Tayoubi, presidente dell’ Heritage Innovation Preservation del Cairo che ha avviato la ricerca invita tutti ad essere prudenti: "Ci sono molte teorie, alcune pazze e altre ragionevoli, ma è troppo presto per qualunque conclusione." Mark Lehner, direttore dell' Ancient Egypt Research Associates di Boston, ritiene che “dal momento che è impossibile arrivarci, è improbabile che si tratti di una camera di sepoltura: non è il luogo dove gli egizi avrebbero potuto mettere un corpo”. E allora forse, quella cavità ha un significato simbolico, una sorta di luogo di passaggio verso l’oltretomba. Un’altra ipotesi è che si tratti solo una "soluzione ingegneristica" per alleggerire il peso dei blocchi di pietra che si trovano sopra la grande galleria, al fine di prevenire un collasso. A questo punto non ci resta che aspettare. Ai posteri l’ardua sentenza.




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