venerdì 9 dicembre 2016

La matematica del Sudoku

 

imageIl gioco giapponese del sudoku, affonda le sue radici nei quadrati magici studiati da Eulero.

Un quadrato magico è uno schieramento di numeri interi distinti in una tabella quadrata tale che la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali dia sempre lo stesso numero; tale intero è denominato la costante magica del quadrato.

Il Sudoku si e’ subito diffuso in tutto il mondo, come era gia’ successo per il cubo di Rubik, il gioco del 15 e altri puzzles che periodicamente ritornano di moda.

Le regole sono molto semplici e occorre soltanto una matita e un foglio di carta. Si gioca su una tabella di nove per nove caselle in ognuna delle quali si deve inserire una cifra, da uno a nove. Ogni riga e ogni colonna deve contenere tutte le cifre da uno a nove senza ripetizioni. Condizione ulteriore, e questa è la novità, anche ogni blocco di caselle tre per tre, contrassegnato da linee più marcate, deve contenere le nove cifre, senza ripetizioni. Il Sudoku si presenta con una parte delle cifre già inserite nelle caselle (vedi figura 1). Per essere un vero Sudoku, deve inoltre avere un’unica soluzione. Richiede normalmente dai dieci minuti alla mezz’ora per essere risolto. Il nome originale del gioco, lanciato vent’anni fa dalla Nikoli, una casa editrice giapponese specializzata in giochi, era Suji wa dokushin ni kagiru ovvero “Numeri limitati ad una sola persona”, un nome sintetizzato in Sudoku, “Numeri unici”.

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Figura 1: Raffigurazione di un sudoku come si presenta al giocatore e la usa soluzione.

Per risolvere un Sudoku, esistono diverse tecniche a seconda della difficolta’ del Sudoku stesso. Una delle tecniche piu’ semplici e’ quella della “Singola posizione”.

Si sceglie una riga, una colonna o un box (il quadrato 3x3) e si analizzano i numeri che ancora non sono stati inseriti. A causa della presenza dei numeri iniziali, le posizioni dove poter inserire un nuovo numero sono limitate. Spesso ci sono 2 o 3 celle dove poter inserire un numero ma se si e’ fortunati ce ne sara’ solo una. Per esempio nel sudoku della figura 2, scegliendo la riga verde si vede subito che il numero 7 puo’ essere inserito solo sull’ultima celle verde verso destra.

Questo perche’ in qualsiasi altra cella verde lo avremmo inserito avrebbe generato delle colonne con due cifre 7.

image Figura 2: Tecnica della singola posizione.

Un'altra tecnica semplice e’ quella del “singolo candidato”. In questo caso ce' bisogno di una matita per scrivere in ogni cella i possibili candidati, esaminando le colonne, righe e box circostanti. Nel caso in cui il candidato e’ unico, immediatamente puo’ essere associato alla cella. In figura 3, viene mostrato un esempio di questa tecnica.

image Figura 3: Tecnica del singolo candidato (da sinistra verso destra).

Nella cella indicata in verde nel sudoku di centro, l’unico candidato e’ il 2, mentre nella cella sopra quella contenente il numero 8, i possibili candidati sono 1 e 2. A destra viene mostrato il sudoku dopo l’inserimento di tutti i candidati. Si vede immediatamente che, ci sono 3 celle (in verde) dove c’e’ un unico candidato che quindi puo’ essere associato definitivamente alla cella.

Esiste una tecnica che non dice quale numero inserire in una cella, ma aiuta invece a determinare quali sono le celle dove non e’ possibile inserire un numero. Con l’esempio riportato in figura 4, e’ facile capire come funziona questa tecnica chiamata la tecnica delle linee candidate.

image Figura 4: Tecnica della singola linea (da sinistra verso destra).

Nel quadrato indicato in verde ci sono due possibili celle (indicate in verde piu’ scuro) dove poter inserire il numero 4. Questo automaticamente fa si che e’ possibile rimuovere qualsiasi altro 4 lungo la colonna individuata dai due 4 del box in basso a sinistra come mostrato in figura 4 nelle ultime due griglie a destra.

Esistono altre tecniche simili che qui non vedremo.

Ma nel caso in cui il Sudoku sia particolarmente complicato quale tecnica usare? Ce ne sono alcune che sono molto semplici da capire ma complicate da applicare. Partiamo con la prima, la cosiddetta tecnica delle “catene forzate”. Per applicarla e’ necessario avere a disposizione piu’ di un foglio per prendere appunti.

  image Figura 5: Tecnica della catena forzata (da sinistra verso destra).

Osservando la figura 5, si capisce in che modo la scelta del valore 1 nella cella C3R1 (colonna terza e riga 1) forza il valore della cella C1R4 a 5. Infatti nel primo passaggio la scelta iniziale del 1, forza il valore 4 nella cella C3R4, che a sua volta forza il valore 7 nella cella C6R4 e quindi il valore 5 nella cella C1R4.

Si ripete poi la stessa operazione ma anziche’ partire col numero 1, si parte col numero 2 (vedi figura 6).

image Figura 6: Tecnica della catena forzata (da sinistra verso destra).

In questo caso la catena che viene fuori e’ molto lunga, ma alla fine forza sempre il numero 5 nella cella C1R4. Poiche’ due diverse scelte portano allo stesso numero nella cella C1R4 questo significa che il 5 e’ il numero da associare a questa cella.

La seconda tecnica normalmente utilizzata per risolvere Sudoku complessi e’ quella che va sotto il nome di X-Wing. Osserviamo la figura 7, partendo dalla riga 4 e 9 dove abbiamo 4 celle con il 6 un possibile candidato.

  image Figura 7: Tecnica X-Wing

Il trucco per capire la tecnica del X-Wing e’ quello di immaginare cosa succederebbe se uno scegliesse il 6 in una di queste quattro celle. Se scegliamo il 6 in C3R4 questo implica che non e’ possibile avere lo stesso numero in C9R4 e C3R9 come si puo’ vedere dalla griglia centrale in alto della figura 7. Questa scelta forza la cella C9R9 ad avere 6 come candidato. In altre parole un 6 nella cella in alto a sinistra del quadrato iniziale (vedi griglia in basso a sinistra) forza lo stesso valore nella cella in basso a destra. Esattamente con la stessa logica, un 6 nell’angolo in alto a destra del quadrato dovrebbe forzare lo stesso valore nella cella in basso a sinistra (vedi griglia centrale in basso della figura 7). Detto cio’ e’ chiaro che non e’ possibile avere altri 6 nelle due colonne C3 e C9. Questo ci permette di cancellare quasiasi numero 6 che compare come possibile candidato. Nell’esempio di figura 7, e’ possibile rimuovere il 6 da due celle della colonna C9, che lascia la cella C9R1 con un 8.
A causa della grande popolarita’ del Sudoku, diversi matematici e scienziati del computer hanno lavorato su diverse questioni emerse da questo gioco. La prima di queste riguarda il possibile numero di griglie. In altre parole, stabilire qual’e’ il numero di griglie possibili di Sudoku che possono essere create o equivalentemente il numero di modi in cui e’ possibile riempire una griglia 9x9 con i numeri da 1 a 9 soddisfando le regole del Sudoku.

Per rispondere a tale domanda e’ necessario utilizzare tutte le possibili permutazioni e le proprieta’ di simmetria della griglia del Sudoku.

Bertram Felgenhauer del Dipartimento di Scienza dei computer dell’Universita’ di Dresda e Frazer Jarvis del Dipartimento di Matematica dell’Universita’ di Sheffield in Inghilterra, usando la forza-bruta dei computer sono arrivati a calcolare il numero di griglie valide di Sudoku. Un numero veramente grande: 6670903752021072936960 (circa 6.67*1021). Senza considerare le regole del Sudoku elencate all’inizio del capitolo, il numero di possibili griglie sarebbe 981 . Ovviamente per contare le possibili griglie questo numero dovrebbe essere ridotto eliminando tutte quelle configurazioni che non soddisfano le regole.

Se consideriamo un qualsiasi blocco del Sudoku, questo puo’ avere 9! (362880) possibili configurazioni. I possibili modi con cui arrangiare la “banda” in alto (l’insieme dei tre blocchi da 3x3 celle) saranno dati dal prodotto di 9! del primo blocco per il numero di modi in cui e’ possibile arrangiare il blocco 2 della banda superiore e il numero di modi in cui e’ possibile arrangiare il blocco 3 (quello a destra in alto della griglia del Sudoku).

Questo prodotto e’ uguale a 6.67*1021. Comunque se consideriamo la simmetria della griglia del Sudoku questo numero e’ destinato a diminuire. Per simmetrie, intendiamo quelle operazioni che quando applicate alla griglia del Sudoku, esse creano un’altra griglia che e’ essenzialmente equivalente all’originaria. Per prima cosa etichettiamo una griglia del Sudoku come riportato in figura 8.

 

image Figura 8: Griglia del Sudoku etichettata con le lettere.

La colonna ADG e’ chiamata una “pila”, mentre la riga ABC e’ detta una “striscia”.La selezione di specifici valori per uno qualsiasi dei quadrati e’ conosciuta come “Ri-etichettatura”. L’arrangiamento delle cifre da 1 a 9 nel blocco A, e’ un esempio di operazione di ri-etichettatura. Oltre questa operazione, sono possibili anche le:

· Permutazioni delle “strisce”

· Permutazioni delle “pile”

· Permutazioni delle colonne all’interno delle “pile”

· Permutazioni delle righe all’interno delle “strisce”

· Riflessione o rotazione della griglia.

Frazer Jarvis e Ed Russel, in un lavoro intitolato “Mathematics of Sudoku”, hanno individuato 3359323 simmetrie. Una di queste e’ quella rappresentata in figura 9, dove la griglia riportata rimane praticamente la stessa se sottoposta ad una rotazione di 90 gradi e di ri-etichettatura 1—>3—>9—>7—>1 e 2—>6—>8—>4—>2. Il 5 rimane fisso.

image Figura 9: Griglia di Sudoku che rimane la stessa in seguito ad operazione di rotazione e ri-etichettatura

Tenendo conto di tutte le simmetrie, gli autori sono arrivati a stabilire che tutte le possibili griglie differenti del Sudoku sono 5472730538.

Normalmente, il Sudoku deve avere una sola soluzione, altrimenti il puzzle non e’ valido. Per essere sicuri di cio’, i puzzles sono presentati con un numero di cifre gia’ presenti nella griglia iniziale, lasciando al giocatore la deduzione delle rimanenti cifre da inserire nelle celle libere. Al momento il migliore risultato ottenuto sul minimo numero richiesto nella griglia iniziale e’ di 17 cifre. Questo e’stato ottenuto dal professore Gordon Royle dell’Universita’ dell’Australia. Attualmente non si sa se con 16 cifre iniziali il Sudoku ammette una singola soluzione. Tutte le griglie con 17 entrate iniziali, vengono chiamate i Sudoku minimi. Al momento si conoscono 47793 diversi Sudoku minimi.

Per analizzare il gioco del Sudoku e’ possibile anche utilizzare la teoria dei grafi. E’ quello che hanno fatto Agnes M. Herzberg e M. Ram Murty in un loro lavoro apparso sul giornale Notices of the AMS di Giugno/Luglio 2007. E’ possibile pensare alla griglia del Sudoku, come agli 81 nodi di un grafo. Ogni cifra da 1 a 9 puo’ essere colorato in modo diverso, e due nodi possono essere connessi se e solo se le due celle che essi rappresentano si trovano nella stessa riga, colonna o quadrato 3x3. Poiche’ nessuna riga, colonna o blocco 3x3 puo’ contenere piu’ di una volta lo stesso numero, questo significa che il grafo non avra’ connessioni tra nodi dello stesso colore. Nel linguaggio della teoria dei grafi, un grafo colorato senza connessioni tra nodi dello stesso colore si chiama un “grafo colorato proprio”.

Quello che i giocatori di Sudoku, quindi, fanno tutti i giorni, e’ cercare di estendere un grafo parzialmente-colorato (la griglia iniziale) ad un grafo colorato proprio.
Grazie a questa analogia tra Sudoku e grafi, Herzberg e Murty hanno utilizzato le tecniche dei grafi per provare alcuni teoremi riguardanti il Sudoku.

Per esempio, hanno provato che il numero di modi per trasformare un grafo parzialmente colorato e’ dato da un polinomio. Se il valore di questo polinomio e’ zero per una certa griglia Sudoku, allora il puzzle non ha soluzione. Se il valore e’ 1, allora il puzzle ha una sola soluzione e cosi via. Essi hanno anche dimostrato che affinche’ un Sudoku abbia un’unica soluzione, ci devono essere almeno 8 delle 9 cifre presenti nella griglia iniziale come entrate. Se vengono dati solo 7 numeri, allora il puzzle ha almeno due soluzioni.

Tenendo presente, quindi, il risultato di G. Royle, per avere un’unica soluzione dobbiamo garantirci che nella griglia iniziale ci siano almeno 17 numeri e che questi siano rappresentati da 8 diverse cifre. Per esempio con una sequenza del tipo:

1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, 2, 2, 3, 4, 1, 1, 9, 4, 7, 2

come entrate iniziali il puzzle avra’ sicuramente una soluzione unica.

E’ possibile pensare che nel caso ci sia un numero di entrate superiore a 17, sia abbastanza probabile avere un’unica soluzione del Sudoku. E invece non e’ sempre cosi. L’articolo di Herzberg e Murty, riporta un esempio di una griglia con 29 numeri iniziali che ha due differenti soluzioni. Niente male per un rompicapo come il Sudoku. Un altro ricercatore, David Eppstein dell’Universita’ della California, ha applicato anche lui la teoria dei grafi per costruire nuovi metodi di soluzione.

Supponiamo di avere un Sudoku che e’ stato risolto parzialmente. Assegniamo ad ogni cella vuota un nodo del grafo, e connettiamo i nodi con archi etichettati coi numeri candidati per la cella. Eppstein definisce un ciclo non ripetitivo, un tour chiuso che non ha due archi (edge) consecutivi con la stessa etichetta e ciclo ripetitivo uno in cui e’ possibile trovare due archi consecutivi con la stessa etichetta. I connettori consecutivi sono quelli che condividono uno stesso nodo (per esempio A e B sotto).

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Vediamo come funziona il metodo nel caso di cicli non ripetitivi. In questo caso, per qualsiasi cella C del ciclo, con due archi etichettati con A e B che insistono su di essa, il valore di C puo’ essere solo A o B. Nell’esempio della figura 10, la cella C e’ quella sulla sinistra in basso della griglia. Poiche’ i due archi che insistono su questa cella hanno come numeri 2 e 3 significa che la cella C dovra’ avere uno di questi due numeri. La griglia in alto a sinistra e’ il Sudoku parzialmente completato con altri metodi. In basso a destra invece viene mostrato il puzzle risolto.

image Figura 10: Metodo del ciclo non ripetitivo di Eppstein.

In caso di ciclo ripetitivo, se ad un nodo confluiscono due archi con la stessa etichetta, la cella associata al nodo del grafo non puo’ che avere come valore l’etichetta delle connessioni. Nell’esempio di figura 11, il nodo indicato in nero non puo’ che avere come valore il numero 4.

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Figura 11: Metodo del ciclo ripetitivo di Eppstein.

sabato 29 ottobre 2016

La camminata del cavallo ovvero la matematica della scacchiera

 

image_thumb  Nel gioco degli scacchi, il cavallo e’ uno dei pezzi a disposizione dei giocatori. Insieme all’alfiere e’ uno dei cosiddetti “pezzi leggeri” in contrapposizione alla regina e la torre che invece vengono chiamati “pezzi pesanti”. La mossa del cavallo puo’ essere descritta come un passo in orizzontale o in verticale seguito da un passo in diagonale in direzione opposta alla casa d’origine. Nella figura 1, sono indicate le mosse ammesse nell’ipotesi che il cavallo occupi una posizione centrale.

 

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Figura 1. Le mosse del cavallo.

Fin dall’antichita’ c’e’ stato un grande interesse per quello che va sotto il nome del puzzle del tour del cavallo: determinare  la sequenza di movimenti fatti su una scacchiera da un cavallo in modo che ogni quadrato venga visitato una ed una sola volta.

Esiste una soluzione a questo puzzle? E se si, quanti possibile tour ci sono?

I primi risultati furono riportati in un manoscritto arabo dall’autore Abu Zakaria Yahy intorno al 900 dc (vedi figura 2). Tra le due soluzioni mostrate in figura 2, c’e’ una notevole differenza. Infatti il punto iniziale per la soluzione sulla sinistra non puo’ essere raggiunto dal punto finale con una mossa del cavallo, mentre questo e’ vero per la soluzione di destra. Nel caso della soluzione di destra si parla di tour del cavallo chiuso. In figura 3, vengono riportati due esempi di tours chiusi.

 

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Figura 2. Due soluzioni per il puzzle del cavallo.

 

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Figura 3. Due tours chiusi.

La prima analisi matematica di questo puzzle, comunque, fu eseguita nel 1759 dal grande Eulero. L’accademia delle scienze di Berlino, aveva istituito un premio di 4000 franchi per chi riusciva a dare una soluzione matematica del puzzle, premio che molto probabilmente Eulero non prese mai in quanto essendo il direttore del dipartimento di matematica, non era tra gli eleggibili. In figura 4, vengono riportate alcune soluzioni trovate da Eulero. Partendo da qualsiasi quadrato lungo il cammino si otterra’ sempre un tour chiuso.

 

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Figura 4. Alcune soluzioni trovate da Eulero.

Ma quanti tours esistono? Questo numero e’ sorprendentemente grande. In effetti e’ cosi grande che un semplice conteggio e’ al di fuori della portata dei computer piu’ veloci. Il problema e’ stato comunque affrontato in modo diverso da Martin Lobbing e Ingo Wegener che nel 1995 comunicarono che, il numero possibile di tours del cavallo era uguale a 33439123484294.

Nel 1997, Brendan McKay, usando un metodo diverso, ha stabilito che il numero possibile di tours e’ dato da 13267364410532, che se anche  piu’ piccolo di quello precedente rimane comunque un numero elevatissimo.

Esistono anche tours magici di cavalli, nel senso che se ogni passo del cammino del cavallo viene numerato, il quadrato risultante e’ magico, cioe’ la somma di tutte le righe, di tutte le colonne e delle diagonali principali e’  uguale ad una costante (vedi per esempio la figura 5).

 

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Figura 5 . Due tours magici.

I tours magici non sono possibili su scacchiere n x n con n dispari. Il primo tour magico fu pubblicato nel 1848 dal suo scopritore, William Beverley (vedi figura 6) anche se si tratta nella realta’ di un tour semimagico in quanto, la somma delle diagonali non e’ uguale a 260 che e’ invece la somma delle righe e delle colonne.

 

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Figura 6 . Il primo tour magico scoperto da W. Beverley.

Il quadrato di Beverley ha delle proprieta’ interessanti. Per esempio, come mostrato in figura 7 a sinistra, in ogni quadrante, la somma dei numeri corrisponde a 520 e la somma di ognuna delle righe e delle colonne equivale a 130. Inoltre la somma dei numeri in ogni quadrato 2x2 e’ uguale a 130 (figura 7 a destra).

 

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Figura 7. Quadrato di Beverley

Solo dopo 62 giorni di calcoli, nel 2003 e’ stato mostrato che per una scacchiera 8x8 non esiste nessun tour magico, mentre ne esistono in totale 140 di semimagici.

Nel diciannovesimo secolo, H.C. Warnsdorff presento’ un metodo pratico per costruire dei tours del cavallo. Lo scopo era quello di evitare di creare delle estremita’ morte, cioe’ quadrati da cui il cavallo non puo’ piu’ andare avanti senza visitare un quadrato gia’ visitato in anticipo. Per questa ragione, prima di ogni mossa vengono analizzati i possibili quadrati in cui muoversi nel passo successivo, ed una volta contato il numero di nuove scelte possibili, ci si muove nel quadrato con il numero minore.

La regola di Warnsdorff, genera delle soluzioni, ma non tutte le possibili soluzioni. In figura 8, viene riportato un inizio di tour ottenuto con la regola di Warnsdorff.

 

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Figura 8. La regola di Warnsdorff al lavoro

Oggi, comunque, la tecnica piu’ utilizzata per trovare i tours del cavallo su scacchiere molto grandi e’ quella della decomposizione, cioe’ quella di suddividere la scacchiera in rettangoli piccoli per i quali la soluzione e’ gia' conosciuta. Queste soluzioni sono, quindi, combinate insieme per ottenere tutti i possibili cammini del cavallo. In figura 9, viene riportato un possibile cammino del cavallo per una scacchiera 60x60.

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Figura 9. Cammino del cavallo per una scacchiera 60x60 ottenuto col metodo della decomposizione.

I tours del cavallo possono anche essere rappresentati tramite i grafi, dove ogni nodo rappresenta i quadrati della scacchiera e le connessioni (o edge) corrispondono ad una mossa legale del cavallo (vedi figura 10).

 

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Figura 10. Grafi per tours del cavallo su scacchiere di diverse dimensioni nxn.

Si puo’ dimostrare che se il grafo associato al movimento del cavallo su una scacchiera mxn ha un cammino Hamiltoniano allora esiste per certo un tour, e se il grafo ha un ciclo Hamiltoniano allora il tour e’ chiuso. Vediamo cosa si intende per grafo Hamiltoniano. Un grafo si dice contenere un cammino Hamiltoniano quando e’ possibile visitare tutti i vertici del grafo una e una sola volta. Per esempio in figura 10 , si vede chiaramente, che su una scacchiera 3x3 non esiste nessun tour del cavallo, in quanto non c’e’ un cammino Hamiltoniano.

Si parla invece di ciclo Hamiltoniano quando nel cammino Hamiltoniano esiste un arco che congiunge l’ultimo vertice con il primo, realizzando cosi un ciclo che visita tutti i vertici per poi ritornare al punto di partenza (vedi figura 11).

 

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Figura 11. Grafo contenente un ciclo Hamiltoniano indicato con le frecce in grassetto.

Per ogni classe di grafi e’ possibile calcolare il numero di possibili cammini Hamiltoniani come nel caso della classe mostrata in figura 12. Si tratta di grafi completi con n vertici. Un grafo si dice completo quando per ogni coppia di vertice esiste una connessione o edge. La sequenza dei possibili cammini Hamiltoniani per la classe procede in questo modo (considerando anche il verso):

0, 2, 6, 24, 120, 720, ...

 

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Figura 12. Classe dei Grafi cosiddetti completi.

Il numero di connessioni in un tour del cavallo su una scacchiera nxn e’ dato dalla seguente formula:

4(n-2)(n-1)

che equivale a 8 volte i numeri triangolari.

I cammini del cavallo su una scacchiera possono essere utilizzati anche per tassellare il piano. Usando i 4 insiemi di 16 movimenti illustrati nella figura 13 e’ possibile costruire 4 poligoni, che insieme possono tassellare il piano.

 

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Figura 13. I 4 poligoni colorati ottenuti con i cammini del cavallo e la tassellazione del piano.

venerdì 30 settembre 2016

I Cosmati e il triangolo di Pascal

 

Blaise Pascal nacque a Clermont, in Francia, nel 1623 e morì a Parigi nel 1662. Egli fu un filosofo, matematico e scienziato e la sua vita e’ stata quella tipica del genio precoce. Fin dalla più giovane età fu introdotto allo studio della matematica e delle scienze dal padre Etienne, magistrato e appassionato cultore di scienze. A soli sedici anni scrisse un Saggio sulle sezioni coniche, in cui formulò uno dei teoremi fondamentali di geometria proiettiva, noto come “Teorema di Pascal”. A diciotto anni, nel 1641, egli costruì la prima macchina calcolatrice che fu poi ulteriormente migliorata otto anni dopo. Questa macchina, chiamata successivamente Pascalina, somiglia molto al primo calcolatore meccanico costruito nel 1940. Nel 1654, in collaborazione con il matematico Pierre de Fermat, elaborò la teoria delle probabilità, che e’ poi divenuta fondamentale in campi quali la statistica e la fisica. Tramite opportuni esperimenti confermò l’ipotesi di Evangelista Torricelli sugli effetti esercitati dalla pressione atmosferica sull’equilibrio dei liquidi. Tra i suoi contributi piu’ rilevanti vi sono la cosiddetta “legge di Pascal”, in base alla quale i fluidi esercitano la medesima pressione in tutte le direzioni, e le ricerche sul calcolo infinitesimale. Nel 1654 dopo alcuni anni di vita intensamente mondana, trasformò in una vocazione religiosa quello che fino ad allora era stato un atteggiamento solo benevolo nei confronti della fede. Elemento importante per il suo cambiamento fu l’ambiente giansenistico di Port-Royal dove sua sorella Jacqueline era monaca. Nel 1653 le tesi giansenistiche vennero messe al bando da Papa Innocenzo X; sebbene la posizione dell’ambiente di Port-Royal non coincidesse esattamente con quella di Giansenio anch’esso venne coinvolto nella condanna. In sua difesa Pascal scrisse le famose lettere conosciute come “Provinciali”, che divennero in poco tempo uno dei best-seller dell’epoca ed uno dei capolavori della letteratura francese. Tra i tanti lavori matematici il suo nome e’ legato anche a quello che oggi porta il suo nome: il Triangolo di Pascal (anche conosciuto come triangolo di Tartaglia). Egli ne analizzo’ le proprieta’ e le pubblico’ nel 1654 nel Traite’ du triangle arithmetique. Pascal comunque non fu il primo ad analizzare le proprietà’ di questo particolare triangolo; sembra infatti che questo sia stato scoperto indipendentemente dai Persiani e dai Cinesi nel secolo XI. Il matematico cinese Chia Hsien utilizzò questo triangolo per estrarre le radici quadrate e cubiche dei numeri. Dopo di lui altri autori cinesi si interessarono al triangolo tra cui Yang Hui che nel 1303 riportò una rappresentazione del triangolo come mostrato in fig. 1. Vediamo in cosa consiste questo triangolo e quali numeri ne entrano a far parte (oggi conosciuti come numeri di Pascal). Per prima cosa va detto che il triangolo di Pascal era diverso da quello che noi conosciamo oggi anche se le caratteristiche matematiche rimangono le stesse.

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Figura. 1 Triangolo di Pascal in una rappresentazione cinese del secolo XIV.

Per costruire il suo triangolo, Pascal disegnò due linee perpendicolari, dopo di che divise ognuna di queste due linee in un numero di parti uguali tracciando degli assi verticali ed orizzontali in modo da creare delle celle. Una volta fatto ciò congiunse con una linea i due punti della prima divisione formando un triangolo di cui questa linea ne era la base. Dopo di che continuò con le altre celle formando così tanti triangoli quante erano le celle di un asse. Con una linea poi divise questi triangoli in due parti uguali. A questo punto cominciò ad inserire i numeri come segue. Il numero da inserire nella prima cella che forma l’angolo retto e’ arbitrario, ma una volta scelto, tutti gli altri numeri derivano da esso; per questa ragione esso e’ detto il generatore del triangolo. I numeri delle altre celle sono determinati dalla somma dei numeri nelle celle precedenti lungo lo stesso asse verticale ed orizzontale. Se ruotiamo l’asse di simmetria centrale di 45 gradi verso l’asse verticale otteniamo il triangolo così come lo conosciamo oggi (vedi figura 2 e 3). In questa forma (cioè quella della figura 3) i numeri di ogni cella vengono ottenuti dalla somma dei numeri delle due celle superiori adiacenti e supponendo che tutte le celle all’esterno del triangolo contengano zero. Adesso che abbiamo imparato a costruire il triangolo di Pascal vediamo quali sorprese si nascondono al suo interno.

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Figura 3. Il triangolo di Pascal come viene rappresentato oggi

Una delle prime proprieta’ del triangolo e’ la sua simmetria. Infatti se prendiamo il triangolo e lo pieghiamo in corrispondenza dell’asse centrale (l’altezza del triangolo in figura 2) vedremo che i numeri si sovrappongono esattamente tra di loro. Andiamo avanti nell’individuare altre misteriose ed interessanti proprietà. Consideriamo la somma dei numeri presenti in ogni riga del triangolo.

               1                          =   1  =  20
               1 + 1                   =   2  =  21
               1 + 2 + 1             =   4  =  22
                1 + 3 + 3 + 1       =   8  =  23
                1 + 4 + 6 + 4 + 1 = 16  =  24

………………

Come si vede la somma e’ uguale a 2 elevato al numero della riga presa in esame, assumendo che la prima riga sia la riga zero. Un’altra caratteristica interessante ha a che fare con i numeri primi. Possiamo osservare, infatti, che se il numero di una riga e’ un numero primo allora ogni numero contenuto in essa, eccetto i due numeri uno alle estremità, e’ divisibile per questo numero primo. Nella settima riga, per esempio, abbiamo i numeri 1, 7, 21, 35, 35, 21, 7, 1 con 7, 21 e 35 tutti divisibili per 7. Al contrario se il numero di una riga e’ composto, come la sesta riga (considerando sempre la prima riga come quella zero), questo non e’ vero. Per questa riga, infatti abbiamo i numeri 1, 6, 15, 20, 15, 6, 1 dove 15 e 20 non sono divisibili per 6. In termini matematici possiamo formulare il seguente teorema:

     ·   Se n e’ un numero primo, allora i numeri centrali del triangolo di Pascal (cioè tutti i termini   ad eccezione degli estremi) dell’ennesima riga sono divisibili per n.

Passiamo adesso ad esaminare i numeri lungo le diagonali del triangolo come mostrato in figura 4.

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Figura 4. Le diagonali del triangolo di Pascal

La prima diagonale indicata con n, e’ la sequenza dei numeri interi. La seconda indicata con tn invece e’ la sequenza dei numeri triangolari, cioè la sequenza generata sommando tra loro il primo, il primo e il secondo, il primo e il secondo e il terzo numero naturale e cosi via. Cioè:

 

1

1+2=3

1+2+3=6

1+2+3+4=10

..........................

La terza diagonale e’ la sequenza dei cosiddetti numeri tetraedrici, cioè la somma dei numeri triangolari e cosi via. Quante scoperte affascinanti analizzando semplicemente le diagonali di questo triangolo. Adesso passiamo una cosa veramente sorprendente. Se si prende una diagonale che inizia in uno qualsiasi degli 1 sul bordo e terminante in un qualsiasi numero all’interno del triangolo, la loro somma e’ sempre uguale al numero al di sotto dei numeri selezionati e non sulla stessa diagonale (vedi figura 5).

1+6+21+56 = 84
1+7+28+84+210+462+924 = 1716
1+12 = 13

 

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Figura 5. La mazza da Hockey

Tutte le strutture matematiche emerse fino ad ora tutto sommato erano abbastanza prevedibili. La prossima invece riguardante i numeri di Fibonacci non e’ immediata e bisogna guardare con attenzione per scoprirla. Tracciamo delle linee attraverso il triangolo come quelle mostrate in figura 6 e sommiamo i numeri che si trovano tra due linee adiacenti. I numeri così generati altro non sono che i numeri di Fibonacci. Ricordiamo brevemente che i numeri di Fibonacci iniziano con due 1 e tutti gli altri generati semplicemente sommando i due numeri precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21,.....).

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Figura 6. I numeri di Fibonacci

Proviamo a guardare, adesso, alla diagonale evidenziata nella figura 7. Sommiamo i primi due termini di questa diagonale: 1+3=4. Poi sommiamo il secondo col terzo: 3+6=9; il terzo con il quarto 6+10=16 e così via. Il triangolo di Pascal non finisce di meravigliarci. I numeri trovati altro non sono che la sequenza dei numeri quadrati.

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Figura 7. I numeri quadrati all’interno di quelli triangolari.

Il triangolo di Pascal trova un’ampia applicazione anche in altre aree della matematica quale l’algebra e la statistica. Chiunque abbia qualche nozione di algebra ricordera’ che questa espressione:

(1+x)2

può essere sviluppata come:

(1+x)2=(1+x)(1+x)=1+2x+x2

e che la stessa cosa può essere fatta per un cubo:

(1+x)3=(1+x)(1+x)(1+x)=(1+x)(1+2x+x2)=1+3x+3x2+x3

Se guardiamo i coefficienti delle x ci accorgiamo che nel caso del quadrato questi sono i numeri della seconda riga (1,2,1) del triangolo di Pascal e che nel caso del cubo questi sono i numeri della terza riga (1,3,3,1). Si può provare per potenze maggiori di 3 e verificare di persona che i coefficienti di espansione sono proprio i numeri di Pascal. Generalizzando, l’n-sima riga del triangolo di Pascal da’ i coefficienti dello sviluppo di:

(x+y)n

Per esempio nel caso n=4 abbiamo:

(x+y)4=x4+4x3y+6x2y2+4xy3+y4

dove i coefficienti 1, 4, 6, 4, 1 sono i numeri della quarta riga del triangolo.

I numeri di Pascal possono essere usati anche nella teoria delle probabilità. Immaginiamo di avere cinque libri e che ne vogliamo prendere uno per leggerlo. In quanti modi diversi possiamo selezionare un singolo libro? Be’ questo e’ abbastanza facile. In cinque differenti modi. Se indichiamo con A, B, C, D, E i 5 libri possiamo scegliere una qualsiasi di queste cinque lettere e quindi abbiamo 5 possibilita’. Se vogliamo invece selezionare due libri? In questo caso possiamo avere le seguenti combinazioni:

AB, AC, AD, AE, BC, BD, BE, CD, CE, DE

cioè 10 possibili modi. E se vogliamo selezionare tre libri su cinque, quanti modi possibili abbiamo? Questo e’ la stessa cosa che scartare due libri da cinque e quindi ci sono 10 possibili modi. Selezionare invece quattro libri su cinque e’ la stessa cosa che scartare un libro su cinque e quindi in questo caso abbiamo cinque possibili modi. E uno solo per selezionare cinque libri su cinque. Chiaramente c’e’ un unico possibile modo per selezionare nessun libro su cinque. Riassumendo abbiamo:

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Di nuovo i numeri di Pascal. Questo e’ uno degli aspetti affascinanti della matematica; due cose apparentemente non connesse tra loro che invece nella pratica lo sono. Le espansioni algebriche e la selezione degli oggetti. Il numero di modi di selezionare r oggetti da un totale di n si scrive come:

nCr

Così le selezioni precedenti possono essere scritte come segue:

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In generale, quindi, per sapere quanti modi possibili ci sono per selezionare r oggetti su n basta prendere un triangolo di Pascal e tirar fuori i numeri dell’n-sima riga. Ma c’e’ un modo per calcolare nCr automaticamente senza dover prendere ogni volta il triangolo di Pascal? La risposta e’ si.

nCr=n!/((n-r)!r!)

n! e’ il cosiddetto fattoriale di n e significa moltiplicare tra loro tutti i numeri interi da 1 fino a n incluso. Per esempio 1!=1, 2!=1*2=2, 3!=1*2*3=6 e cosi via. Per definizione si assume che il fattoriale di zero e’ uguale a 1, cioè 0!=1. In definitiva i numeri di Pascal possono essere calcolati facilmente per qualsiasi numero n ed r che siano interi positivi utilizzando nCr A questo punto si potrebbe pensare che le meraviglie di questo oggetto semplice ma misterioso siano terminate. Ma non e’ cosi. Abbiamo solo graffiato la superficie di un iceberg. Vogliamo comunque adesso concentrarci sulla connessione tra il triangolo di Pascal e degli oggetti matematici entrati a far parte del nostro mondo dopo il lavoro del matematico Mandelbrot: i frattali. Facciamo una semplice operazione. Coloriamo di bianco i numeri pari del triangolo di Pascal e di rosso quelli dispari. All’apparenza veramente un’operazione banalissima eppure il risultato non e’ niente male.

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Figura 8. Le prime 32 righe del triangolo di Pascal. In rosso i numeri dispari e in bianco i pari.

Veramente straordinario. Una semplice operazione di divisione da’ vita ad un oggetto matematico con una profonda bellezza e simmetria. Possiamo anche complicarci un po’ la vita usando più colori. Come si fa? Semplicissimo. Decidiamo per quale numero vogliamo dividere i numeri di Pascal. Supponiamo 7. Una volta diviso un numero di Pascal per sette gli assegniamo un colore in base al resto della divisone. In questo caso possiamo avere sette diversi colori visto che il resto della divisone per 7 può dare: 0, 1, 2, 3, 4, 5 e 6. Il risultato di una tale operazione e’ mostrato in figura 9. A di là della pura bellezza estetica, questi triangoli nascondono delle proprietà interessanti? Come aspettato il triangolo di Pascal non poteva deluderci. La risposta ancora una volta e’ si. Essi, infatti sono dei frattali, cioè degli oggetti geometrici che presentano una struttura complessa e dettagliata ad ogni livello di ingrandimento e di cui gia’ abbiamo parlato ampiamente in questo blog. Tra le proprieta’ piu’ importanti c’e’ quella dell’invarianza di scala; in altre parole sono oggetti “auto somiglianti”, cioè ogni piccola porzione del frattale può essere vista come una riproduzione su scala ridotta dell’intera figura (vedi figura 10).

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Figura 9. Le prime 32 righe del triangolo di Pascal. I colori sono assegnati in base al resto della divisione dei numeri del triangolo per 7.

 

clip_image025_thumbclip_image026_thumb Figura 10. L’auto somiglianza del triangolo di Pascal

Osservando la figura 8 del triangolo di Pascal, si nota immediatamente la somiglianza con quello che oggi e’ conosciuto come triangolo di Sierpinski (porta il nome del suo scopritore). Per costruirlo si parte (vedi fig. 11) con un triangolo equilatero e si dividono i 3 lati a meta’ e da ognuno di questi punti si tracciano i lati di un nuovo triangolo equilatero che risultera’ essere ruotato rispetto a quello inziale. Il processo viene ripetuto all’infinito con l’unica accortezza di rimuovere in ognuno dei passi il nuovo triangolo al centro. Questo oggetto ha una dimensione di ~1.58 che sta ad indicare un oggetto geometrico che e’ tra una linea e una figura piana (di dimensione pari a 2) e con un area praticamente nulla. Strano vero? Certo. Ma e’ quello che succede con questi oggetti molto comuni in natura e scoperti meno di 100 anni fa.

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Fig. 11 I primi passaggi per la creazione di un triangolo di Sierpinski. Indicando il triangolo inziale come ottenuto dall’iterazione zero, l’ultimo triangolo sulla destra avra’ ordine 4.

Nella fig. 12 un confronto da un triangolo di Sierpinski e il triangolo di Pascal della fig. 8. Osserviamo che il triangolo di Pascal ha dei piccoli vuoti bianchi isolati che possiamo trascurare cioe’ possiamo colorarli di rosso. Cosi facendo esso diventa simile al triangolo di Sierpinski di ordine 3.

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Fig. 12. Confronto da un triangolo di Sierpinski (sulla sinistra) e il triangolo di Pascal con in rosso i numeri dispari (sulla destra).

Fin qui la matematica e la grandiosita’ del genio di personaggi come Pascal, Sierpinski e Mandelbrot. E i Cosmati cosa c’entrano? Chi erano costoro? La mia attenzione si e’ focalizzata su questa famiglia del passato quando ho visitato i musei Vaticani. Tra le innumerevoli bellezze in essi presenti ci sono dei pavimenti nelle stanze del papa Sisto IV e della cappella Sistina da lui voluta che mi hanno lasciato stupito per la bellezza delle forme geometriche.

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Fig. 13. La cappella Sistina

Il termine "Cosmati" è una generalizzazione dovuta al fatto che nelle iscrizioni epigrafiche che i costruttori romani lasciarono nelle loro opere, ricorreva spesso il nome di un certo "Cosma" (Cosmas, Cosmatus) di cui, dopo non poche difficoltà interpretative da parte degli studiosi tra la seconda metà del XIX e i primi decenni del XX secolo, si capi’ che tali nomi si riferivano a due artisti appartenenti a due famiglie parallele di marmorari, ma indipendenti: Cosma di Jacopo di Lorenzo (attestato tra il 1210 e il 1231) e Cosma di Pietro Mellini (1264-1279). Fu Camillo Boito, in un articolo dal titolo Architettura Cosmatesca, pubblicato nel 1860, ad "inventare" per la prima volta l'aggettivo "cosmatesca", da cui derivano gli altri sinonimi. La famiglia di marmorari romani più importante, che ebbe il privilegio di ricevere le più grandi committenze da parte del papato, fu quella di Tebaldo Marmorario (1100-1150), e soprattutto il figlio Lorenzo di Tebaldo e i successori Iacopo di Lorenzo, Cosma e i figli di quest'ultimo Luca e Iacopo alter. A rigore, quindi, si dovrebbe parlare di opere cosmatesche solo relativamente a quelle realizzate da questa famiglia. La loro fama e maestria nel campo dei mosaici sono state tali che oggi si parla di "stile cosmatesco" per indicare lo stile e le tecniche utilizzate da questi maestri e dai loro imitatori. Del capostipite Tebaldo Marmorario, vissuto a cavallo tra l'XI e il XII secolo, si hanno pochissimi riferimenti. Il figlio Lorenzo, detto appunto "di Tebaldo", è attestato in diversi lavori. Segue il figlio Iacopo "di Lorenzo" e il figlio di quest'ultimo Cosma "di Iacopo" o Cosma I; quest'ultimo, con i suoi due figli "carissimi" Luca e Iacopo II, o "alter" come spesso viene denominato dagli studiosi per distinguerlo dal nonno Iacopo I, sono gli ultimi della generazione della famiglia della bottega cosiddetta "di Lorenzo". I maggiori lavori cosmateschi conosciuti a Roma e nel Lazio, di cui molti firmati dagli stessi artisti, sono riferiti a Lorenzo, Iacopo, Cosma e i figli Luca e Iacopo II. Di seguito sono indicati i nomi di questi artisti:

Dell'altra famiglia, originata da Cosma di Pietro Mellini, si ricordano i figli di Cosma:

Questi geniali lavoratori del marmo divulgarono un nuovo tipo di decorazione che piacque molto, la diffusione delle loro opere lo dimostra, e quasi certamente quest’inedita elaborazione del mosaico, quest’originale sviluppo artistico che portò al nuovo gusto trova l’origine nel pavimento della chiesa abbaziale di Montecassino. Infatti il primo esempio conosciuto di stile cosmatesco, risale alla fine dell'XI secolo, tra il 1066 ed il 1071, quando l'abate Desiderio di Montecassino fece venire abili marmorari da Costantinopoli per rinnovare il pavimento della chiesa. All’inizio quindi prevalsero gli influssi di Bisanzio, dell’opus sectile e alexandrinum romana (vedi per es. Fig 14), ma poi si aggiunse anche il gusto arabo-siculo, che iniziava a farsi conoscere ed era chiaramente ispirato a motivi arabi (vedi esempio fig 15).

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Fig. 14. Pavimenti di ville pompeiane ed ercolanesi. Sotto pavimento di una villa romana in Turchia.

 

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Fig. 15. Riga sopra: motivi Cosmati di chiara ispirazione islamica. Sotto: alcune immagini del pavimento di Santa Sofia in Istanbul a cui sicuramente i Cosmati si ispirarono.

Il mosaico cosmatesco è formato da disegni geometrici preziosi, complessi, originali e differenti uno dall’altro. Si tratta di veri e propri coloratissimi tappeti marmorei la cui ricchezza e varietà contrasta con l’austera semplicità delle architetture romaniche nelle quali sono inseriti, nonostante l’inevitabile degrado prodotto dal trascorrere di quasi mille anni, riescono ancora a sopraffare i nostri sensi con la loro vibrante bellezza. Come in tutti gli artisti anche nei cosmati possiamo individuare degli elementi stilistici di base che si ripetono di volta in volta sui quali poi si sovrappongono elementi particolari a seconda delle esigenza specifiche che le diverse situazioni richiedevano. Gli elementi generali possono essere divisi in due strutture.

· Un elemento lineare chiamato guilloche (fig. 16 a sinistra), costituito da una serie di dischi o tondi che si connettono attraverso fasce che si intrecciano (immagine a sinistra sotto).

· Un elemento pentagonale chiamato il quinconce, una composizione di quattro tondi attorno a un quinto connesso agli altri ancora attraverso bande intrecciate (immagine a destra della fig 16).

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Fig 16. La Guilloche (a sinsitra) e la Quinconce (a destra) dei cosmati

La maggior parte dello spazio del pavimento è suddivisa in una griglia di rettangoli, ognuno dei quali è riempito da un motivo geometrico sovrapponibile secondo due direzioni come una carta da parati. Questo tipo di motivi è denominato a carta da parati anche dai matematici (nel mondo anglosassone è molto diffusa la definizione wallpaper group per indicare il gruppo dei 17 motivi periodici del piano). Per simmetria intendiamo un movimento rigido del piano che porta a sovrapporre la figura a se stessa. Ad esempio ruotando il motivo rappresentato nella figura 17 di 180 gradi intorno al punto di contatto dei due quadrati bianchi piu’ grandi lo si porta a coincidere con se stesso.

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Fig. 17. Motivo cosmato ottenuto con quadrati e loro diagonali.

A differenza dei motivi della navata centrale, i motivi geometrici (vedi fig 18) che riempiono i rettangoli che occupano, in parte o del tutto, la restante superficie pavimentata hanno un carattere a-direzionale, statico, fornendo così un ricco e coloratissimo tappeto marmoreo per gli spazi.

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Fig. 18 Esempio di griglie rettangolari

Un aspetto singolare dello stile dei Cosmati e’ la varieta’ delle forme utilizzate nelle decorazioni: circolari, triangolari, rettangolari, quadrate, romboidali, esagonali, ottagonali e la vescica piscis (ovoidale ottenuta dall’intersezione di due cerchi). Spesso le forme sono ottenute le una dall’altra: un rombo ottenuto con due triangoli equilateri, un triangolo dividendo un quadrato lungo la diagonale, un rettangolo unendo insieme due quadrati e cosi via. Altre realizzazioni comportano combinazioni di queste forme dopo aver effettuato opportune rotazioni come per esempio un quadrato inscritto in un altro dopo una rotazione di 45 gradi, un triangolo inscritto in un altro dopo una rotazione di 180 gradi o anche piu’ circonferenze concentriche. La maggior parte delle decorazioni dei Cosmati segue una tecnica costruttiva molto ingegnosa: l’alternanza di forme piu’ grandi con altre piu’ piccole e composite che riempono gli spazi liberi. In altre parole, i Cosmati cominciavano il loro lavoro da una scala piu’ grande per finire a scale sempre piu’ piccole. La struttura piu’ semplice e’ quella di un quadrato con un altro all’interno ruotato di 45 gradi e inserendo poi nei triangoli ai vertici dei triangoli piu’ piccoli ruotati di 180 gradi (vedi fig. 19) oppure dividendo il quadrato con le due diagonali o utilizzando dei rettangoli al posto dei triangoli.

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Fig. 19 Motivi Cosmati utilizzando quadrati e triangoli (ad quadratum e ad triangulatum)

Nonostante i mille anni che separano i Cosmati dagli artisti più recenti, alcune ricerche artistiche compiute dai Cosmati sono ancora oggi attuali. Nella loro ricerca sulla tassellatura del piano, il metodo costruttivo dei Cosmati implicava, come detto poco fa, la creazione di motivi di riempimento degli interstizi lasciati da una prima matrice determinata dalla posa dei tasselli più grandi. In alcuni casi era la forma dello stesso spazio da riempire a dettare le forme possibili di riempimento. Nell’esempio in fig. 20, l’inserimento di un triangolo equilatero nel tondo dettava il riempimento con altri triangoli simili, un processo che prevede dapprima la decomposizione di un modulo nei suoi sub-moduli congruenti e quindi la dilatazione della configurazione risultante fino a che i sub-moduli abbiano raggiunto le dimensioni dell’originale. Il procedimento satura il piano attraverso decomposizioni e dilatazioni iterate. Se il modulo di partenza è il triangolo equilatero, ne risulta un motivo che oggi riconosciamo come il triangolo di Sierpinski (fig. 20) o come tappeto di Sierpinski (fig. 21).

 

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Fig. 20 Tre strutture auto-similari a forma triangolare oggi conosciute come triangoli di Sierpinski. I primi due sono d’ordine 3 mentre l’ultimo a destra e’ di ordine 4.

 

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Fig. 21 Due cosiddetti tappeti di Sierpinski

L’abilita’ dei Cosmati puo’ essere ancora meglio apprezzata nei motivi con elementi curvilinei che richiedono delle approfondite conoscenze geometriche e sono molto difficili da realizzare. In questo caso i triangoli da Euclidei passano ad Iperbolici (vedi fig 22) e l’interno viene riempito con triangoli piu’ piccoli auto-similari come fatto per i triangoli piani (vedi fig 24 a destra).

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Fig. 22 Triangolo iperbolico

I triangoli iperbolici hanno la somma degli angoli interni minore di 180 gradi mentre quelli sferici hanno la somma maggiore di 180 come mostrato in fig. 23. I triangoli curvilinei dei Cosmati somigliano molto al frattale di Apollonio riportato in figura 24 a sinistra.

 

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Fig. 23 Le tre geometrie: euclidea, sferica ed iperbolica

 

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Fig. 24 Il frattale di Apollonio a sinistra. Inserimento di cerchi auto-similari all’interno di un triangolo

iperbolico. A destra un triangolo di Sierpinski curvilineo.

Nelle figure seguenti alcuni esempi di pavimenti Cosmati con triangoli di Sierpinski curvilinei (vedi fig. 25 e 26) mentre nella figura 27 altri esempi di triangoli di Sierpinski nel piano (fig 27).

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Fig. 25 Due esempi di rote con dentro triangoli di Sierpinski curvilinei

 

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Fig. 26 Altri esempi di triangoli di Sierpinski curvilinei.

 

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Fig. 27 Altri esempi di pavimenti Cosmatiani con triangoli di Sierpinski piani

Come e’ possibile che i Cosmati possano essere giunti a quello che noi oggi chiamiamo il triangolo di Sierpinski senza avere a disposizione le nostre conoscenze matematiche e geometriche? I frattali come gia’ anticipato sono una branca della geometria sviluppata negli ultimi cinquant’anni o forse meno. E’ vero come riportato da molti studiosi che i Cosmati molto probabilmente sono giunti a questi oggetti senza sapere cosa fossero grazie solo alla loro tecnica di riempimento dello spazio partendo da oggetti piu’ grandi e pian piano arrivando a riempire gli spazi piu’ piccoli con oggetti di dimensioni ridotte? E’ possibile. Ma ci potrebbe essere anche un’ ipotesi alternativa altrettanto valida. Basterebbe non pensare al triangolo di Sierpinski ma semplicemente al triangolo di Pascal e al suo motivo ottenuto colorando i numeri pari e quelli dispari come quello della fig 12. Perche’ i Cosmati con quella che si ritiene essere stata la loro tecnica non arrivarono ad un motivo simile al frattale di Apollonio della fig. 28? Dopo tutto si trattava di partire sempre con un triangolo curvilineo, inserire al centro un cerchio grande e poi via via cerchi sempre piu’ piccoli come fatto per i triangoli. Ma di questa figura non c’e’ traccia nei loro pavimenti.

 

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Fig 28. Pseudo frattale di Apollonio ottenuro a partire da un triangolo iperbolico

e riempito con dei cerchi di diverse dimensioni

Di sicuro sappiamo che il triangolo di Pascal era noto ai persiani intorno all’anno mille e che di sicuro i Cosmati si sono rifatti all’arte islamica come quella della basilica di Santa Sofia di Istanbul o della Cappella Palatina di Palermo. L'Impero islamico arrivò a dominare, nell'VIII secolo d.C. il Nord Africa, la Penisola iberica e parte dell'India. Entrarono così in contatto con la matematica ellenistica e con quella indiana. Nella seconda metà del VIII secolo Baghdad divenne un nuovo centro del sapere a livello mondiale. Sovrani come al-Mansur, Harun al-Rashid e al-Ma'mun si dimostrarono attenti nei confronti della matematica e preservarono dalla distruzione molte opere matematiche greche che altrimenti sarebbero probabilmente andate perse. Thābit ibn Qurra fondò una scuola di traduttori che tradusse in arabo le opere di Archimede, Euclide e Apollonio. Gli Arabi tradussero, inoltre, molti testi indiani. Questi fatti contribuirono non poco alla nascita della matematica islamica. Molti tra i più grandi matematici islamici erano persiani. Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780-850 Ca), un matematico persiano, scrisse importanti volumi sul sistema di numerazione indiano e sui metodi per risolvere equazioni. La parola "algoritmo" deriva dal suo nome e "Algebra" dal titolo della sua opera più importante, l'al-Jabr wa al-muqābala. In questa opera Al-Khwarizmi oltre a introdurre il sistema decimale nel mondo arabo trova metodi grafici e analitici per la risoluzione delle equazioni di secondo grado con soluzioni positive. Il nome al-jabr si riferisce al nome che il matematico dà all'operazione di riduzione di termini uguali da parti opposte dell'uguale tramite sottrazione. Per questi motivi egli è considerato da molti il fondatore dell'algebra moderna. Altri sviluppi alla materia furono apportati da Abu Bakr al-Karaji (953-1029) nel suo trattato al-Fakhri. Nel X secolo, Abu l-Wafa tradusse le opere di Diofanto in arabo e studiò la trigonometria ottenendo le formule di addizione e sottrazione per il seno. Alhazen studiò invece l'ottica. Omar Khayyam (1048-1131) fu poeta e matematico. Scrisse le Discussioni sulle difficoltà in Euclide nel quale tentava di dimostrare il quinto postulato di Euclide riguardante le rette parallele (data una retta e un punto fuori di essa esiste solo una parallela alla retta data passante per quel punto) partendo dagli altri quattro; impresa che sarebbe poi diventata un "chiodo fisso" per i matematici. Diede una soluzione geometrica all'equazione di terzo grado ma non riuscì a risolverla per radicali. Egli nella sua opera Algebra descrive una regola da lui trovata per determinare le potenze successive di un binomio e quindi arriva a quello che oggi conosciamo come triangolo di Pascal. Il periodo di Omar e’ lo stesso del capostipite della famiglia dei Cosmati, Lorenzo Marmorario vissuto nella seconda meta’ del 1100. E’ possibile che la conoscenza del triangolo di Pascal possa essere passata dalla Persia all’Italia attraverso la cultura islamica?  Amato da Montecassino nella sua Historia Normannorum, chiama in causa la possibile presenza di artefici “saraceni” giunti a Montecassino da Alessandria. La presenza certa di artigiani musulmani attivi in Italia meridionale è documentata dalla particolare decorazione in opus sectile e opus tessellatum dell’abside della chiesa di San Nicola a Bari, eseguita presumibilmente durante il priorato dell’abate benedettino Eustasio, tra il 1105 ed il 1123, se non qualche anno prima come riportato da Ruggero Longo nel suo lavoro di Tesi. Il motivo ornamentale che delimita l’emiciclo absidale del San Nicola mostra il monogramma di Allah in caratteri cufici reiterato più volte. La circolazione di musulmani nel meridione è assicurata d’altra parte dal fiorente centro di Amalfi che faceva da anello di congiunzione tra la costa campana, gli empori islamici nordafricani e il medi-oriente musulmano e bizantino. Gli amalfitani trovarono terreno fertile a Salerno quando, a partire dall’inizio del secolo XII, la città raggiunse un notevole sviluppo economico, divenendo un centro fiorente. È plausibile che le maestranze benedettine giunte nella fascia costiera della Campania abbiano accolto elementi della cultura islamica, rinnovando il linguaggio artistico di matrice bizantina attraverso la partecipazione diretta di artefici di origine musulmana, depositari di un linguaggio decorativo estraneo alla tradizione occidentale. Un primo incontro tra la cultura bizantino  cassinese e quella islamica potrebbe essere avvenuto proprio a Salerno. Gli intensi rapporti tra Palermo e Salerno potrebbero aver garantito l’insediamento e la collaborazione di artigiani siciliani nel cantiere campano. Non è da escludere inoltre che si sia verificato anche il caso contrario. Anzi è probabile che Ruggero II, ammirando l’impianto del Duomo, abbia disposto l’esecuzione del pavimento palatino assumendo artigiani salernitani. L’ ipotesi trova conferma immediata nelle rilevanti analogie tra i micromodelli adoperati nei monumenti delle due città (Fig. 29 e 30). Da quanto esposto emerge che almeno due squadre di marmorari erano attive nei territori normanni. Una in Campania e un’altra in Sicilia e di sicuro in contatto tra loro. Attraverso la Sicilia le maestranze peninsulari recuperarono le relazioni con la cultura bizantina e con quella islamica. Dalla mescolanza di queste culture e’ possibile che in Italia sia arrivato quello che noi oggi conosciamo come triangolo di Pascal e che il motivo ottenuto colorando semplicemente i numeri pari e dispari abbia colpito cosi tanto i Cosmati da convincerli ad utilizzarlo un po’ ovunque nelle loro bellissime opere. E’ un ipotesi che difficilmente potra’ essere provata. Ma molto piu’ facile da accettare di quella della scoperta occasionale da parte di alcuni marmorari medievali del concetto di frattale e quindi del triangolo di Sierpinki. Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

clip_image113_thumb Fig. 29 A sinistra, motivi ornamentali in opus sectile del Duomo di Salerno. A destra, Cappella Palatina di palermo

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Fig. 30. A sinistra: Duomo di Salerno, micromodello a nastri intrecciati del pluteo di recinzione in opus sectile. A destra: Cappella Palatina di Palermo, micromodelli a nastri intrecciati delle decorazioni in opus sectile delle pareti.

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