domenica 11 novembre 2012

L’armonia planetaria

Il grande scienziato Laplace, era convinto che se avessimo potuto conoscere la posizione e la velocita’ iniziale di tutti i corpi presenti nel cosmo, saremmo riusciti a predire con esattezza il futuro e il passato dell’Universo. Se questa affermazione risultasse vera, conoscendo le masse, le velocita’ e le posizioni di tutti i corpi del sistema solare, sarebbe possibile determinare le loro traiettorie per tempi arbitrariamente lunghi. La descrizione del moto dei pianeti, ha stimolato da sempre la mente di diversi scienziati. Scoperte decisive nella determinazione delle leggi fisiche che governano il moto dei pianeti sono state fatte da scienziati del calibro di Copernico, Galileo, Keplero e Newton. Nonostante tutti gli sforzi, ad oggi la meccanica celeste dei due corpi (per esempio il sistema terra-sole) e’ l’unica ben sviluppata e compresa, mentre il problema dei tre o piu’ corpi (per esempio sole-terra-luna) e’ molto complesso. Esso, infatti non ammette soluzioni analitiche, e l’unica possibilita’ rimane quella di ricorrere a metodi numerici. Anche la versione semplificata del modello, il cosiddetto problema dei tre corpi ristretto, in cui la massa di uno dei corpi e’ trascurabile rispetto alla massa totale del sistema, puo’ esibire delle dinamiche molto complesse, nel senso che piccole variazioni nelle condizioni iniziali possono portare a differenze significative nelle traiettorie future dei corpi. In questo caso si parla di sistema dinamico caotico. Indicando con , una piccolissima differenza tra due condizioni iniziali, in un sistema dinamico caotico, la differenza al tempo t, tra le due traiettorie inizialmente molto vicine sara’ determinata dalla relazione

dove  

 

 

e’ chiamato l’esponente di Lyapunov. Notare che per tempi

l’amplificazione di fluttuazioni microscopiche e’ cosi’ spinta che la prevedibilita’ di qualsiasi traiettoria individuale e’ completamente impossibile.

Ma cosa possiamo dire riguardo al nostro sistema solare? Si tratta di un sistema dinamico stabile? E’ possibile per esempio, predire il moto di un singolo pianeta per i prossimi miliardi di anni?

Essendo il sistema solare, un sistema con molti gradi di liberta’ (9 pianeti piu’ il sole che moltiplicato per i 3 gradi di liberta’ di ognuno fanno 30 gradi di liberta’) e’ chiaro che ci si aspetta un sistema dinamico caotico. E questo in effetti e’ il risultato ottenuto di recente dal team del ricercatore Laskar, che con delle simulazioni numeriche molto accurate, e’ riuscito a stimare un tempo di Lyupanov per l’intero sistema solare di circa 5 milioni di anni. Questo significa che un’incertezza iniziale di 1 Km sulla posizione iniziale di un pianeta, puo’ arrivare ad un’unita astronomica (AU=1.5E+8 Km) dopo 95 milioni di anni.

Il fatto che l’esponente di Lyapunov non e’ molto grande, significa che il sistema solare non ha un alto grado di caoticita’, dovuto alla possibilita’ di trascurare l’interazione gravitazionale tra i pianeti rispetto a quella tra i pianeti e il sole. Come esempio di esponente di Lyapunov, nella figura 1, viene riportata la divergenza tra due orbite di Plutone inizialmente molto vicine al trascorrere degli anni.

 

Figura 1: La divergenza d (in unita’ astronomiche) tra due orbite di Plutone inizialmente vicine, cresce esponenzialmente nel tempo (in milioni di anni). Il fit lineare dei dati, comporta un tempo di Lyupanov dell’ordine dei 10 milioni di anni.

Gli studi al computer della storia caotica del sistema solare, sono diventati un ramo molto importante ed interessante della fisica non-lineare, che hanno aperto nuove possibilita’ per la comprensione delle orbite dei pianeti del sistema solare e di altre stelle. In effetti, ci sono state speculazioni sulla struttura numerica delle orbite dei pianeti, fin dal diciottesimo secolo, quando J. Titius e J. Bode notarono una relazione regolare tra le distanze medie dei pianeti dal sole come indicato nella Tabella 1. Ponendo la distanza Terra-Sole uguale ad un’unita’ astonomica (AU), la regola di Titius-Bode e’ data da:

dove a e’ la distanza media del pianeta dal sole in AU ed n e’ il numero planetario che corrisponde a 0 per Venere e per Mercurio. Questa formula riusci’ a predire con buona approssimazione la posizione di Urano, scoperto nel 1781, cioe’ 9 anni dopo la formulazione della regola. Tuttavia per Nettuno e Plutone scoperti successivamente, la formula di Titius-Bode si e’ dimostrata essere non precisa e questo ha fatto si che diversi studiosi, hanno elaborato una versione piu’ recente capace di predire non solo le distanze di Nettuno e Plutone ma anche dei satelliti di Giove, Saturno ed Urano. L’accordo tra le distanze predette e quelle osservate per i vari satelliti e’ qualche cosa di eccezionale con degli errori di alcuni per cento. La versione recente della legge di Titius-Bode e’ data da:

con k una costante uguale a 0.21363 AU e

 

Ultimamente, sempre il ricercatore Laskar e il suo team, usando una combinazione di tecniche numeriche ed analitiche, ha scoperto la seguente relazione, valida non solo per il sistema solare ma anche per i pianeti extrasolari recentemente scoperti:

dove a, come sempre e’ la distanza media dal sole, n il numero planetario e k una costante. Laskar ha trovato k=0.14 per i pianeti interni del sistema solare e 0.81 per i pianeti esterni.

 

Tabella 1: Distanze medie planetarie dal sole in unita’ astonomiche e corrispondenti valori della regola di Titius-Bode, dei risultati di Laskar e del modello quantistico di Nottale.

Sia la legge di Titius-Bode che i calcoli numerici di Laskar, suggeriscono un qualche ordine sottostante, una qualche regolarita’ celeste paragonabile a quella dell’atomo di idrogeno prima della versione quantizzata di Bohr e Schroedinger. Proprio da questo tipo di osservazioni e’ partita l’analisi del gruppo di uno studioso francese, Laurent Nottale, che ha congetturato che le traiettorie degli elettroni negli atomi e i pianeti del sistema solare su una scala temporale maggiore di 0.1 miliardi di anni subiscono una sorta di moto Browniano, che e’ continuo ma non differenziabile, come il perimetro di una curva di Koch o di una costa marina. Essi hanno proposto una teoria per calcolare le probabilita’ delle orbite planetarie che da un punto di vista formale sono identiche a quelle della meccanica quantistica formulate da Schroedinger e Bohr per le orbite elettroniche negli atomi, nonostante l’utilizzo di parametri completamente diversi. Come per il caso dei raggi delle orbite elettroniche dell’atomo di idrogeno, proporzionali al quadrato di n, Laurent Nottale e il suo gruppo ritiene che le distanze medie dei pianeti siano date da:

dove n e’ l’indice orbitale e alfa una costante di proporzionalita’ per i pianeti interni (indicata col pedice i) ed esterni (indicata col pedice o).

Poiche’ per i pianeti interni risulta

e l’indice di Mercurio e’ uguale a 3, questo significa che c’e’ la possibilita’ di due pianeti interni molto vicini al Sole, molto probabilmente evaporati dal calore del Sole o uno evaporato (quello piu’ vicino al Sole) e l’altro ancora da scoprire. La costante dei pianeti esterni, invece, e’ pari a 1.125 AU. La relazione di Nottale e’ in ottimo accordo con i dati misurati, compresi gli asteroidi piu’ grandi, i satelliti dei pianeti del sistema solare e anche di molti dei pianeti extrasolari (vedi figura 2).

Ma questi risultati sono delle idee credibili da un punto di vista scientifico o si tratta di semplice numerologia? Al momento e’ difficile dirlo. Solo le osservazioni di altri pianeti extrasolari ed extragalattici, ed ulteriori studi teorici in quest’area potranno fornire, una risposta definitiva. Al momento lasciamoci sorprendere dalla grande efficacia della matematica nel descrivere tutto cio’ che ci circonda dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.

 

Figura 2: Radice quadrata del rapporto (a/M) con a in AU ed M in masse solari in funzione dell’intero n, per i pianeti interni del sistema solare e alcuni pianeti extrasolari scoperti da poco.

martedì 23 ottobre 2012

0.0001 Il numero della solitudine cosmica

 

Un matematico dell’Università’ di East Anglia, A. Watson, ha rivolto il suo sguardo alle stelle cercando di dare una risposta ad una delle questioni più antiche dell’umanità’: siamo soli nell’Universo? La risposta con molta probabilità e’ si. L’Astrobiologia e’ un nuovo campo della scienza che si occupa dello studio dell’origine, distribuzione, evoluzione e destino della vita ovunque essa si trovi nell’Universo incluso la Terra. A questo proposito il prof. A. Watson ha sviluppato un modello matematico per esaminare la possibilità di presenza di vita intelligente in pianeti simili alla Terra considerando quanto tempo ancora rimane alla terra prima che il Sole diventi troppo brillante per la sopravvivenza della vita. Nell’articolo Implications of an anthropic model of evolution for emergence of complex life and intelligence pubblicato qualche anno fa, A. Watson ha postulato che per degli osservatori intelligenti prima di evolversi c’e’ bisogno di passare attraverso un numero n di fasi molto difficili da un punto di vista evolutivo. Una volta superati questi “gradini”, l’evoluzione procede velocemente fino a che non viene raggiunto il successivo stadio. La vita intelligente si e’ evoluta molto tardi sulla Terra e A. Watson suggerisce che questo può essere legato alla difficolta’ nel superare i primi n stadi più difficili. Egli suggerisce che n e’ meno di 10 e molto probabilmente uguale a 4. Questi stadi includono l’emergenza di batteri unicellulari, batteri complessi pluricellulari, cellule che permettono forme di vita complessa e vita intelligente. Il professore A. Watson pensa che un limite all’evoluzione e’ l’abitabilità’ del pianeta. I nostri modelli fisico/matematici del Sole predicono che esso diventerà più brillante e che ad oggi ha aumentato la sua luminosità del 25% rispetto alla formazione del sistema solare. La nostra biosfera ha bisogno di temperature minori di 50 gradi per sopravvivere, il che suggerisce che la vita avrà “solo” un altro miliardo di anni a disposizione. Questo può sembrare un tempo molto lungo per la nostra scala temporale, ma se confrontato ai 4 miliardi di anni che la vita ha già superato sul nostro pianeta, si capisce che essa e’ nella parte finale della sua esistenza.

A. Watson sostiene che, se un pianeta e’ abitabile per un certo periodo di tempo, e la vita si sviluppa all’inizio di questo periodo, allora e’ probabile che l’evoluzione abbia avuto luogo anche su altri pianeti simili alla Terra. Comunque, siccome l’evoluzione e’ avvenuta sulla Terra solo nella parte finale del periodo di tempo dell’abitabilità’, A. Watson suggerisce che la nostra evoluzione e’ piuttosto improbabile.

Da un punto di vista matematico egli ha derivato le distribuzioni di probabilità di ogni evento cruciale dell’evoluzione. Il suo modello assume che i gradini dell’evoluzione sono intrinsecamente improbabili e che ognuno di essi può manifestarsi solo se i precedenti passi si sono verificati. Tutto il resto dell’evoluzione poi avviene molto rapidamente.

I passi critici vengono considerati degli eventi stocastici, con una probabilità uniforme anche se diversa.  

La proprietà che essi sono intrinsecamente improbabili e’ espressa dalla condizione che il prodotto 

e’ molto minore di 1 dove th e’ il periodo medio dell’abitabilità’ del pianeta. La probabilità per unità di tempo che il primo passo avvenga e’ data da:

La probabilità congiunta sempre per unità di tempo che due eventi, uno al tempo t’ e il secondo a un tempo successivo t e’ data da:

La probabilità che il secondo evento si verifichi e’ ottenuta quindi da:

Continuando in questo modo, la probabilità che l’ennesimo evento si verifichi in sequenza ai precedenti n-1 passi si ottiene da: 

dove K e’ un fattore di normalizzazione.

Usando le registrazioni dei fossili, Watson ha stimato un limite superiore per la probabilità che ogni passo critico si verifichi (10%) che fornisce una probabilità sull’emergenza della vita intelligente minore del 0.01% su 4 miliardi di anni.

Il lavoro sembra dar ragione all’ipotesi della Rare Earth che postula l’emergenza della vita complessa pluricellulare sulla Terra come una improbabile combinazione di eventi astrofisici, geologici e circostanze speciali. A. Watson, sostiene che l’intelligenza e’ ancora più improbabile della “semplice” vita e quindi ancora più improbabile.

Non c’e’ da stare molto allegri. Saremo per sempre destinati alla solitudine cosmica?

mercoledì 5 settembre 2012

Il grande freddo alla base della nascita del nostro Universo


Oggi una parte consistente dei fisici sta lavorando alla teoria delle stringhe come una delle teorie per unificare la gravita’ con la meccanica quantistica. Anche se da un punto di vista matematico questa teoria e’ molto elegante da un punto di vista fisico ancora non riesce a fare predizioni e quindi ad essere accettata come la teoria del tutto.
Oltre alla teoria delle stringhe esistono altri modelli che cercano di conciliare la gravita’ di Einstein con la meccanica quantistica di Heinsberg/Schrodinger. Tra queste oggi  vogliamo parlare di quella che bizzarramente I suoi autori chiamano  la quantum graphity. L’idea e’ quella di dimostrare che lo spazio-tempo e la gravita’  sono emerse da quella che loro chiamano la fase pre-geometrica.
Fotini Markopoulou, una ricercatrice dell’istituto Perimeter del Canada insieme ad altri colleghi, ha sviluppato questo modello, in cui si ipotizza che a scale molto piccole e ad energie estremamente elevate (condizioni confrontabili con quelle della nascita dell’universo) non esiste lo spazio. Tutto quello che esiste e’ una rete (network, grafo) astratta fatta di nodi connessi tra loro da archi (edges) governati dalle leggi della meccanica quantistica. In questo stato a causa dell’alta energia ogni nodo e’ in contatto con gli altri.
Esempio di grafo

In base alla meccanica quantistica, questa fase pre-geometrica non e’ potuta durare a lungo. Quando il primo universo comincio’ a raffreddarsi,  esso subi’ una transizione di fase simile a quella dei cristalli  che si formano quando l’acqua viene raffreddata.  Durante questa transizione di fase i nodi cominciano ad allontanarsi tra di loro, separati da una certa distanza e cristallizati in una struttura regolare come quella di un reticolo. Questa struttura rappresenta lo spazio alla scala quantistica che e’ alla base dello spazio continuo che noi percepiamo alle scale piu’ grandi.
 
Fase pregeometrica-Caldo             Tempo dopo con il raffreddamento
 
Markopoulou, pensa che la quantum graphity possa spiegare il problema dell’orizzonte cioe’ il fatto che nell’universo esistono delle regioni molto distanti tra loro che sono precisamente alla stessa temperatura. Questo richiede  che nel passato queste regioni siano state vicine tra loro in modo da riuscire a scambiare la radiazione e anche la temperatura. Ma se estrapoliamo le posizioni precedenti grazie alle velocita’ a cui queste regioni si stanno muovendo, si trova che queste regioni non sono mai state cosi vicine da potersi scambiare qualsiasi informazione. E’ proprio grazie a questo problema che Alan Guth ha sviluppato il suo modello inflazionario in cui l’universo ha attraversato una fase iniziale molto breve in cui c’e’ stata un’espansione ad una velocita’ maggiore di quella della luce.
Quindi la quantum graphity potenzialemente puo’ risolvere questo problema senza ricorrre all’inflazione. Se qualsiasi cosa fu in contatto con qualsiasi altra cosa durante la fase pre-geometrica, allora ci dovremmo aspettare di vedere delle similarita’ tra regioni distanti dell’universo. E’ chiaro che il modello ha bisogno ancora di parecchio lavoro prima di poter competere con quello inflazionario ma sembra comunque dare dei risultati gia’ interessanti secondo quanto riportato da James Quach dell’Universita’ di Melbourne e dal suo team.
Secondo quanto sviluppato da questo team usando appunto la quantum graphity, la nascita dell’Universo dovrebbe essere modellata non tanto con il famoso Big Bang, quanto con un Big freeze, come l’acqua quando passa da liquida a ghiaccio. Il team ha suggerito che studiando le crepe e le fessure comuni a tutti I cristalli dovrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dell’universo.


Difetti presenti nell’acqua congelata
 
 
Pensiamo all’Universo iniziale come ad un liquido. Man mano che l’universo si raffredda esso si cristallizza in tre dimensioni spaziali e in una temporale che e’ quello che noi oggi osserviamo. Teorizzando l’universo in questo modo, quando esso si raffredda e’ normale aspettarsi la formazione di crepe nel reticolo cristallino allo stesso modo come si osserva nell’acqua congelata.  Alcuni di questi difetti potrebbero essere visibili e quindi provare la validita’ della quantum graphity.
La luce e altre particelle infatti, dovrebbero essere piegate o riflesse da questi difetti e percio’ in linea teorica noi dovremmo essere capace di osservare questi effetti. Nell’articolo pubblicato dal team vengono riportati I calcoli per alcuni di questi effetti e le previsioni sono sperimentalmente verificabili. Quindi l’annosa questione sulla natura dello spazio (continuo o particellare) potrebbe essere definitivamente risolta una volta per tutte.
Non ci resta che aspettare.

Come dovrebbero apparire i difetti del reticolo spazio-temporale riflettendo la luce

venerdì 24 agosto 2012

Extraterrestri e numeri primi

 

A parte gli ufologi sparsi per il mondo, nessuno sa realmente se siamo gli unici esseri intelligenti ad abitare l’Universo. Nell’ipotesi che cio’ fosse vero   come potremmo comunicare con queste civilta’ aliene?. Date le vaste distanze che regnano nell’Universo, l’unica possibilità per poter colloquiare con queste civiltà al di fuori del nostro sistema solare dovrebbero essere le onde radio. Ma quale lingua dovremmo utilizzare? L’Inglese che adesso e’ diventata la lingua universale sul nostro pianeta? Non credo che avremmo molto successo. E’ molto difficile, se non difficilissimo, che un altro essere intelligente dall’altra parte dell’Universo ci possa capire. E allora? Quale linguaggio dovremmo usare? Sicuramente un linguaggio universale che ogni civiltà ha dovuto sviluppare per avanzare il suo livello di conoscenza indipendentemente dalla sua posizione nel tempo.
Nel 1960, un matematico tedesco, Hans Freudenthal, suggeri’ di utilizzare un linguaggio chiamato Lincos. Si tratta di una sorta di lingua artificiale ottenuta mescolando il latino e il linguaggio della Logica. Ma come potete capire non si tratta di un linguaggio abbastanza trasparente.
Una decade dopo, l’astronomo americano Frank Drake, propose uno schema che coinvolgeva i numeri primi. Per capire meglio, facciamo un esempio, e supponiamo di aver ricevuto un messaggio dal cielo costituito da linee e punti come questo:

−−•−−−•−•−•−−−•−•−•−−−•−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−••−••−−•−•−•

e che tale messaggio si sia ripetuto più volte facendoci escludere la possibilità di essere semplicemente del rumore.
Cosa può significare una tale sequenza? Per prima cosa osserviamo che ci sono 55 simboli. E il numero 55 può essere fattorizzato come 5 x 11 o 11 x 5.
Questo ci suggerisce di posizionare i simboli all’interno di una matrice di 11 x 5. Ma questo non ci aiuta più di tanto visto che quello che compare sembra del semplice rumore.
 
 

Proviamo allora con una matrice 5 x 11. In questo caso otteniamo:
 


Questo adesso non sembra più del rumore. In alto infatti c’e’ un rombo, che sembra indicare che gli alieni vogliano attirare la nostra attenzione.
E i simboli in basso cosa rappresentano?
E’ chiaro che con solo 55 pixels non e’ facile scrivere un messaggio troppo lungo ne’ trasmettere immagini chiare. E’ possibile allora che gli alieni ci stanno indicando i numeri da 1 a 5 in forma binaria? Partendo dalla sinistra e dall’alto verso il basso per le ultime tre righe della matrice  e associando un 1 al punto e uno 0 ad una linea otteniamo: 001, 010, 011, 100, 101. Ma questi altro non sono che la rappresentazione dei numeri 1, 2, 3, 4, 5 in base binaria (in questa base anziché moltiplicare ogni cifra per potenze di dieci come facciamo nel nostro sistema decimale le cifre vanno moltiplicate per potenze di due. In questo sistema le cifre sono solo due 0 e 1).
E’ facile immaginare che usando un messaggio ripetitivo più lungo e’ possibile inviare messaggi più dettagliati e addirittura dei films. L’unica accortezza e’ quella di usare stringhe di lunghezza p x q, dove p e q sono dei numeri primi. In questo modo ci sono solo due diverse possibilità di rappresentare una matrice rettangolare.
In una novella,  di Carl Sagan, dal titolo Contatto e’ proprio questo il metodo che gli alieni scelgono di utilizzare per comunicare con noi terrestri.
Al momento, il progetto SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) sta cercando possibili messaggi dallo spazio, utilizzando l’aiuto degli internauti che mettono a disposizione della ricerca il loro computer per elaborare i tanti segnali radio che arrivano dall’Universo. Tante persone in ascolto dell’elegante musica dell’universo cercando di captare la possibile debole voce di qualche cantante extraplanetario. Fino ad oggi non e’ stato trovato nessun segnale significativo, ma possiamo certamente dire che la ricerca e’ cominciata solo da poco. Nel frattempo, abbiamo inviato qualche messaggio nello spazio nella speranza che possa essere raccolto da qualche civiltà extraterrestre? La risposta e’ si. Quando e’ stato inaugurato il telescopio di Arecibo a Porto Rico (vedi immagine inizio capitolo) , uno dei primi progetti e’ stato quello di spedire nel cielo un messaggio ripetitivo. Questo messaggio ha una lunghezza di 1679 simboli i cui fattori sono 23 x 73. Arrangiando i simboli in una matrice 23 x 73 dall’alto verso il basso si ottiene l’immagine riportata sotto.
 


Come va interpretato questo messaggio? Esso consiste di 7 parti che codificano le seguenti informazioni:
 

1. I numeri da 1 a 10

2. I numeri atomici degli elementi presenti nel nostro DNA

3. Le formule dello zucchero e delle basi presenti nel DNA

4. Il numero di nucleotidi presenti nel DNA e un grafico della sua doppia elica

5. La figura di un uomo, l’altezza media di una persona e la popolazione della Terra

6. Un grafico del sistema solare

7. Un grafico del radiotelescopio di Arecibo e le dimensioni dell’antenna

Vediamo queste sezioni in dettaglio. La prima rappresenta i primi 10 numeri in forma binaria. L’ultima riga in basso rappresenta l’inizio di ogni numero. I pixel bianchi vanno intesi come degli uno e quelli neri come degli zeri. Si legge sempre dall’alto verso il basso, colonna per colonna laddove indicato dall’ultima riga.
 
 
 
 
La seconda sezione, rappresentata sotto, riporta gli elementi del DNA.
 


 
Ancora col sistema binario, vengono rappresentati i numeri 1, 6, 7, 8 e 15. Questi sono i numeri atomici (numero di protoni di un atomo) dell’idrogeno (H), carbonio (C) , azoto (N), ossigeno (O) e fosforo (P), i componenti della molecola di DNA che e’ alla base della vita. Nella sezione sottostante, invece, vengono riportate le formule dei nucleotidi presenti nel DNA:

(C5OH7) (C5H4N5) (C5H5N2O2) (C5OH7)
(PO4) (PO4)
(C5OH7) (C4H4N3O) (C5H4N5O) (C5OH7)
(PO4) (PO4)

I nucleotidi vengono raffigurati come sequenze di 5 atomi che rappresentano la formula della molecola.



Per esempio, nel caso della formula C5OH7, questa viene rappresentata nella parte in alto a sinistra dell’immagine e si legge come:
 
 
Cioè 7 atomi di idrogeno, 5 atomi di carbonio, nessun atomo di azoto, 1 atomo di ossigeno e nessun atomo di fosforo. Subito dopo viene raffigurata la doppia elica del DNA come mostrato sotto.
 


Le due colonne bianche di pixel ancora una volta vanno interpretate come sequenze di 1 e 0 dall’alto verso il basso.

1111111111110111 1111101101011110 = 4.294.441.822 (in forma decimale)

ed indica il numero di nucleotidi. Nella sezione sottostante viene stilizzata una figura umana, sulla sua sinistra e’ riportata l’altezza media di una persona (1764 mm) ottenuta dal prodotto di 14 moltiplicato per la lunghezza d’onda del messaggio (126 mm) e sulla destra il numero di persone sulla Terra nel 1974 (circa 4.3 miliardi).



Subito dopo viene riportato il sistema solare dove noi viviamo. Viene riportato il sole e i pianeti in base alla loro distanza da esso: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Per evidenziare la Terra, da cui e’ stato inviato il messaggio, essa e’ stata rappresentata spostata in alto rispetto agli altri pianeti e subito sopra c’e’ la stilizzazione della figura umana.



E’ poi la volta della bellissima immagine del Telescopio da cui e’stato inviato il messaggio. Nella parte sottostante del telescopio in bianco, viene riportato in notazione binaria la dimensione del telescopio (306,18 m)
 

A questo punto non ci resta che riportare il messaggio per intero  così come e’ stato inviato nello spazio. Ci risponderà mai nessuno? Credo che questa sia una domanda a cui difficilmente si potrà dare una risposta, almeno in tempi brevi.

Una cosa e’ certa: l’utilizzo dei numeri primi rende più semplici i messaggi da inviare nello spazio e allo stesso tempo piu’ difficili da decriptare quelli che viaggiano sulla Terra. E dire che fino a pochi anni fa, i numeri primi non erano altro che una semplice curiosità dei matematici.

 

 

domenica 29 luglio 2012

Un problema molto complesso – La congettura di Collatz


Il primo a proporre questa congettura e’ stato Lothar Collatz nel 1937, da cui ha preso il nome. La congettura e’ anche conosciuta come il problema 3n+1. La sequenza di numeri coinvolti e’ riferita come la sequenza dei chicchi di grandine (hailstone sequence in inglese).
Questa congettura e’ cosi complicata da dimostrare, che il grande genio matematico Paul Erdos, un giorno disse che la matematica ancora non era pronta per risolvere un tale problema. Ma vediamo da vicino in che cosa consiste questa congettura.
Consideriamo un qualsiasi numero intero positivo n.
  1. Se n e’ pari, lo dividiamo per 2
  2. Se n e’ dispari, lo moltiplichiamo per 3 e aggiungiamo 1.
Se eseguiamo queste operazioni ripetutamente, prendendo come ingresso, il risultato dell’operazione precedente, si raggiunge sempre il numero 1 indipendentemente dal numero di partenza n.
Il numero di passi impiegati per arrivare ad 1 e’ detto il tempo totale di arresto del numero n (total stopping time in inglese). Nella figura 1 vengono riportati i tempi di arresto di tutti i numeri interi tra 2 e 9999, mentre nella figura 2 la frequenza con cui ogni tempo di arresto si presenta per valori di n tra 2 e 20000.
 

col2

Figura 1: Grafico dei tempi di arresto per i numeri da 2 a 9999.


Osservare che ci sono due picchi a circa 50 e 135 con oscillazioni che si accentuano nell’intorno di questi due picchi e che si smorzano verso le due code della distribuzione.
 

col3

Figura 2: Distribuzione dei tempi di arresto per i numeri da 2 a 20000.


Ovviamente la congettura di Collatz e’ equivalente ad affermare che per ogni n ci sia un tempo di arresto finito. Nel caso in cui esistesse un numero n che non arriva mai ad 1, perché entra in un loop non contenente 1 o perché cresce senza limite, allora la congettura di Collatz risulterebbe falsa.
Partendo, per esempio, col numero n=6, la sequenza per arrivare al punto fisso 1 prende 8 passi 6, 3, 10, 5, 16, 8, 4, 2, 1, con n=11 ci vogliono 14 passi, 11, 34, 17, 52, 26, 13, 40, 20, 10, 5, 16, 8, 4, 2, 1 e per n=27 ci vogliono ben 111 passi prima di arrivare ad 1, toccando numeri al di sopra di 9000 per poi discendere verso il suo attrattore. (vedi figura 3).
 

col4

Figura 3: Grafico della sequenza di Collatz per il numero di partenza 27. Il tempo di arresto e’ di 111 passi.


Qui di seguito il grafo diretto dei primi 20 numeri. Osservare come la sequenza di Collatz converge sempre al loop 4-2-1.
col5

  
La congettura, tramite l’utilizzo massiccio dei computer, e’ stata provata essere vera fino a 2.88×1018. Anche se questo numero e’ molto grande, non significa che la congettura e’ vera. Ci sono state altre congetture che si sono dimostrate false solo per valori veramente grandi.
Utilizzando comunque un approccio di tipo probabilistico, la congettura sembra essere vera. Considerando infatti, un numero intero dispari a caso si può verificare che in media la crescita aspettata della sequenza fino al numero dispari successivo e’ pari a 3/4 e quindi minore di 1. Questo dovrebbe comportare che ogni sequenza di Collatz dovrebbe decrescere man mano che si sviluppa. Ma questo dovrebbe provare solo che la sequenza eventualmente non diverge. Ma e’ sempre possibile che essa entri in un ciclo in cui non e’ presente l’uno. Quindi punto e a capo. Sono solo ipotesi e purtroppo fino a quando non arriverà una dimostrazione o un contro esempio rimaranno tali.
La congettura di Collatz ad oggi rimane irrisolta.
Sebbene il problema sia molto semplice da spiegare e da capire, la natura della congettura e il comportamento di questo sistema dinamico rende enormemente difficile provare o confutare la congettura.
Nel 1985 Lagarias cosi scriveva in merito alla congettura di Collatz:
La difficoltà del problema 3n+1 sembra essere legata al fatto che si tratta di un processo deterministico che simula un comportamento casuale (randomico). I metodi esistenti in Teoria dei numeri non sembrano essere adatti per la soluzione della congettura. In questo senso il problema ad oggi, sembra essere intrattabile.
http://www.wikio.it