lunedì 19 marzo 2012

Come le lenti gravitazionali ci mostrano la materia oscura.

Molti di voi avranno sentito parlare della curvatura della luce da parte di un corpo massiccio come una stella. Fu Einstein con l’introduzione della relativita’ generale ad ipotizzare cio’. Ma come puo’ la massa curvare i fotoni della luce che non hanno massa? In effetti e’ la curvatura dello spazio tempo generato dalla presenza di  una qualsiasi massa a curvare i raggi luminosi. Molti  di voi avranno visto l’immagine sottostante che rappresenta l’ammasso di galassie chiamato Abell Cluster 2218.


Se guardate attentamente noterete degli archi che altro non sono delle galassie di fondo che vengono distorte ed amplificate dal gigantesco ammasso di galassie Abell. Quando la luce che proviene da sorgenti piu’ lontane dell’ammasso passano nelle sue vicinanze subisce una deflessione che crea gli archi e i filamenti che vediamo.  Questo fenomeno e’ chiamato lente gravitazionale forte ed e’ uno degli spettacoli piu’ interessanti e belli dell’Universo. Sfortunatamente pero’ e’ un fenomeno molto raro. Infatti e’ molto difficile avere un allineamento tra la sorgente di luce e la massa che funziona da lente.


L’angolo di deflessione della luce verso la massa deflettente M e’ dato da:


dove G e’ la costante gravitazionale, r la distanza tra la massa M e il raggio di luce e c la velocita’ della luce. Questa semplice formula ci mostra come a partire dalla misura dell’angolo di deflessione dei raggi di luce e’ possibile risalire alla massa M del corpo deflettente.  
Oltre alle lenti gravitazionali forti esistono anche quelle che chiamiamo lenti gravitazionali deboli sicuramente meno spettacolari di quelle forti ma che come vedremo ritornano utili per mettere in evidenza la materia oscura. Come molti di voi sapranno, la materia visibile presente nell’universo e’ solo una piccola parte di quella necessaria per giustificare l’universo cosi come lo vediamo oggi. Dall’osservazione delle galassie a spirali si e’ visto che la velocita’ in funzione della distanza dal punto centrale della galassia si mantiene pressocche’ costante mentre tenendo conto della sola materia visibile la curva sarebbe stata quella tratteggiata in blu (curva A).


Per risolvere questo enigma gli astrofisici hanno ipotizzato la presenza nell’intero universo di materia non visibile, cioe’ materia che non emette luce ma che esercita un’attrazione gravitazionale sulla materia circostante. Ad oggi nessuno sa di cosa sia composta realmente questa materia oscura. Ci sono diverse ipotesi ma nessuna di esse ha trovato conferma nella realta’. Vediamo adesso come le lenti gravitazionali ci possono dare una mano nella comprensione della materia oscura.


Nell’immagine qui sopra e’ simulata una parte del nostro universo. In esso possono esserci delle regioni ricche di materia dove grazie all’azione della gravitazione questa comincia a formare degli ammassi. Ci sono altre regioni dove invece c’e’ assenza di materia e si formano dei grandi vuoti, chiamati voids. Quando la luce proveniente da sorgenti al di la’ di questi ammassi arriva ai nostri telescopi, essa non forma immagini spettacolari come quelle delle lenti gravitazionali forti; accade comunque un qualche cosa di molto interessante che noi possiamo studiare. Vediamo di cosa si tratta.
Supponiamo di avere delle sorgenti luminose di forma sferica distribuite a caso e supponiamo che non ci siano oggetti massivi tra esse e i nostri telescopi. Quello che vedremmo e’ un qualche cosa del genere.

Cosa succede se tra queste sorgenti e noi inseriamo un qualche oggetto massiccio? Ricordiamoci che siamo nell’ipotesi di assenza di lenti gravitazionali forti e quindi non ci aspettiamo di vedere archi, filamenti, o anelli.


I risultati di una simulazione mostrano comunque che le sorgenti di luce vengono distorte dall’effetto lente gravitazionale debole. Da sfere diventano degli ellissoidi piu’ o meno schiacciati. Bene. Tutto quello che dovremmo fare e’ misurare quanto ellettiche sono le galassie e da questo ricavare le masse presenti tra queste sorgenti e i nostri telescopi. Purtroppo le galassie reali hanno forme diverse tra loro e non sono delle sfere perfette come abbiamo supposto. Quando guardiamo gli oggetti nell’Universo abbiamo sempre l’effetto combinato di una debole distorsione dovuta all’effetto lente gravitazionale e dell’intrinseca ellitticita’ delle galassie (chiamato shape noise). Qui sotto una simulazione che fa vedere la differenza tra il caso con galassie suppooste sferiche (without shape noise) e quelle con forme diverse ( with shape noise).


Tipicamente l’ellitticita’ intrinseca e’ maggiore della distorsione gravitazionale. Ad ogni modo la misura di tante galassie puo’ essere combinata per mediare questo rumore. L’orientazione dell’ellitticita’ intrinseca delle galassie dovrebbe essere quasi tutta randomica cosi che l’allineamento sistematico tra galassie multiple generalmente si puo’ assumere essere causato dal solo effetto lente.  
Dalla misura dell’elletticita’ indotta dalla gravitazione e’ possibile risalire alla densita’ di materia visibile e non,  presente tra le sorgenti di luce e noi sulla Terra.  
Il confronto tra la distribuzione della materia oscura mappata con la tecnica del lensing debole, la distribuzione della materia visibile e quella dei raggi X rivela interessanti interconnessioni tra la materia oscura e i componenti delle stelle e dei gas.  Un esempio molto famoso e’ il cosiddetto Bullet Cluster che dista da noi circa 3,4 miliardi di anni luce. Quest’immagine e’ stata realizzata sovrapponendo alle galassie visibili nell’ottico, due nuvole di raggi X emesse da gas caldi e mostrate in rosso. Oltre alle masse visibili delle galassie e dei gas che emettono i raggi X c’e’ da aggiungere la materia oscura rappresentata come un alone blu. 
Gli astrofisici pensano che il Bullet Cluster si sia formato dallo scontro di due ammassi che hanno separato la materia oscura da quella barionica. L’osservazione dei raggi X mostra come la maggior parte della materia barionica del sistema e’ concentrata nel suo centro. Notare che la radiazione X e’ molto vicina al centro del sistema in quanto nel passare uno attraverso l’altro i due ammassi hanno rallentato le particelle di gas. Questo invece non e’ successo ai due aloni di materia oscura che risiedeva attorno ai due ammassi prima dello scontro e che e’ rimasta separata.


Da immagini come queste si e’ capito che la materia oscura non interagisce con la materia ordinaria ma contribuisce solo alla gravita’. La materia oscura non emette e non assorbe le radiazioni elettromagnetiche  e quindi non puo’ essere vista con i telescopi. Essa costituisce il 23% della materia presente nell’universo mentre solo il 4,6% e’ dovuto alla materia ordinaria e il rimanente 72% alla cosiddetta energia oscura responsabile dell’accelerazione attuale dell’universo. La quantita’ di materia presente nell’universo non e’ sempre stata costante. La sua percentuale era molto piu’ alta dopo 380000 anni dal big bang quando la radiazione finalmente non venne piu’ assorbita dagli elettroni e l’universo usci’ dal suo stato di opacita’ completa.  

In definitiva per sapere quanta massa c’e’ in un ammasso, e dove si trova questa massa, tutto quello che dobbiamo fare e’ misurare le sorgenti di luce che si trovano al di la dell’ammasso e fare entrare in gioco l’effetto lente gravitazionale debole. Tutto qui.

sabato 10 marzo 2012

Chi e’ nato prima: la galassia o il buco nero?

Un buco nero e’ un oggetto massivo che esercita un’attrazione gravitazionale cosi intensa da impedire alla materia e alla luce di fuggire via da esso: in questo senso e’ nero. In esso la materia e’ addensata in un piccolo punto (singolarita’) e questa determina il raggio di una superficie immaginaria detto raggio di Schwarzschild. Per esempio un buco nero di massa pari a quella del Sole avrebbe un raggio di circa 3 Km mentre per una massa pari a quella della Terra il raggio sarebbe di un solo centrimetro.
Un buco nero essenzialmente e’ il frutto di una forte distorsione dello spazio-tempo dovuta alla presenza di un forte campo gravitazionale. La superficie di un buco nero, chiamata orizzonte, e’ una superficie di separazione chiusa entro la quale la velocita’ di fuga e’ maggiore della velocita’ della luce. Un risultato notevole e’ che l’interno di un buco nero non ha relazione causale con il resto dell’universo: nessun processo fisico che avvenga all’interno dell’orizzonte degli eventi puo’ comunicare la propria esistenza o i propri effetti all’esterno. Secondo la relativita’generale di Einstein, lo spazio e il tempo sono deformati dal campo gravitazionale dovuto ai corpi dotati di massa e la deformazione e’ piu’ forte in prossimita’ di un buco nero. Buchi neri di massa stellare si ritiene si formino quando stelle massiccie (dell’ordine di 30 masse solari e piu’) subiscono il collasso gravitazionale ed esplodono come supernove.
E’ opinione comune tra gli astronomi che nel nucleo di tutte le galassie sia presente un buco nero di massa compresa tra 1000000 e 1000000000 masse solari. Questi buchi neri vengono indicati come supermassivi. Le principali evidenze osservative della presenza di questi buchi neri sono:

·         L’attivita’ presente nei nuclei di alcune galassie quali i quasar e galassie Seyfert

·         La dinamica del materiale che orbita nelle regioni centrali delle galassie

Le prime galassie attive scoperte furono i quasar. Fin dall’inizio si era capito come essi fossero estremamante luminosi. L’unico meccanismo che riesce a generare una simile luminosita’ e’ l’accrescimento di materia da parte di un buco nero. Lo studio dei quasar mostra come in passato fossero molto piu’ abbondanti di adesso. L’evoluzione della luminosita’ dei quasar e’ spiegata col fatto che con il tempo i buchi neri supermassivi al centro delle galassie fagocitavano sempre piu’ materia con conseguente aumento della luminosita’. Una volta esaurito il materiale intorno al buco nero il nucleo della galassia diventa quiescente.
Ma questi buchi neri erano supermassivi fin dalla nascita? Secondo la comunita’ scientifica no. Essi sono cresciuti in dimensione grazie al gas e stelle presenti nelle galassie ospiti nei primi anni di nascita dell’universo. Questi risultati vengono dall’analisi fatta dalla Nasa col telescopio Hubble che ha studiato piu’ di 30 galassie. I risultati sono sommarizzati nelle immagine sottostanti dove e’ possibile vedere che piu’ il bulge (il nucleo centrale) di una galassia e’ grande in massa e piu’ e’ massiccio il buco nero ospite.




Questi dati sembrano favorire l’idea che un buco nero supermassivo non abbia preceduto la nascita della galassia ospite ma che invece si sono evoluti insieme intrappolando tanto piu’ materiale quanto piu’ il bulge della galassia era massiccio. E i quasars altro non sono che le emissione energetiche della materia catturata dai buchi neri supermassivi al centro delle galassie. In questo modo abbiamo dato una spiegazione ai centri galattici attivi, i buchi neri, e i quasars. Sono tutti intercorrelati tra di loro ed una solo teoria riesce a spiegare il tutto.
Ma siamo proprio sicuri che i buchi neri e le galassie nascono ed evolvono insieme? Due studi autorevoli sembrano indicare di no.
Il primo e’ di un gruppo di astronomi della Virginia che hanno scoperto un buco nero supermassivo in una galassia nana chiamata Henize 2-10, che si trova in una fase di formazione stellare. Questa scoperta avvenuta per caso ha delle importanti implicazioni sulla comprensione dell’evoluzione delle galassie e del loro buco nero centrale. In particolare questa scoperta suggerisce che i buchi neri supermassivi possono svilupparsi prima della crescita della loro galassia ospite.

L’altro studio e’ qello realizzato all’universita’dell’Ohio dove sono stati analizzati quasars apparsi qualche miliardo di anni dopo il big bang. Anche se questi quasars erano ovviamente giovani contenevano tante stelle in formazione come anche un buco nero supermassivo completamente formato. Il numero di quasars analizzati e’ stato dell’ordine delle centinaia. Anche la piu’ piccola e piu’ quiescente delle galassie attive conteneva un buco nero dell’ordine dei 100 milioni di volte il nostro sole. Da un punto di vista teorico questi buchi neri avrebbero richiesto dei tempi lunghissimi per diventare cosi’ grandi se essi fossero nati come un piccolo seme insieme alla galassia ospite.
La questione non e’ ancora completamente risolta e ulteriori conferme saranno necessarie anche se al momento tutto sembra confermare che i buchi neri sono nati prima delle galassie e che la loro immensa gravita’ attirando gas, polveri e stelle abbiano dato il via alla nascita delle galassie.   

sabato 21 gennaio 2012

La matematica delle api

La scienza è la poesia della realtà come afferma lo scienziato Richard Dawkins etologo ed evoluzionista. E in particolare la matematica è alla base della natura e di molte sue costruzioni che possiamo considerare artistiche. Non a caso Galileo Galilei  diceva a proposito dell’Universo: “Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto” Il Saggiatore, Galileo Galilei (1564-1642).
Come riportato ampiamente nel mio libro “ L'Universo dei numeri i numeri dell'Universo" i giovani di oggi non amano la matematica. Essi la ritengono qualcosa di artificioso, estraneo, senza legami con la natura, con l’arte, la musica, la letteratura; difficile da capire, piena di formule strane che non hanno niente a che fare col mondo che ci circonda. Nel mio libro ho provato a smentire queste false opinioni andando a curiosare nell’intero Universo con occhi matematici, cercando tra i fiori e le foglie, le pigne e le spiraleggianti galassie, tra le cicale e le lenti gravitazionali la presenza della regina delle scienze. Voglio continuare con questo mio proposito descrivendovi in questo post come le api mostrano di conoscere la matematica e la geometria meglio di molti nostri giovani studenti. Come ci riescano pero’ rimane un mistero.
Cominciamo con il chiederci come mai le cellette del favo hanno tutte una sezione di forma esagonale. La risposta come sempre ce la da’ la matematica. Gli esagoni regolari, cioe’ esagoni con tutti i lati uguali e gli angoli uguali (120 gradi), fanno parte delle famiglia dei poligoni regolari con cui e’ possibile tassellare completamente il piano, cioe’ ricoprirlo completamente senza lasciare spazi vuoti. Oltre all’esagono lo puo’ fare il triangolo equilatero e un quadrato.    
Ma allora perche’ le api usano proprio l’esagono? Per poter ricoprire il piano con dei triangoli equilateri bisogna fare in modo che 6 di essi abbiano in comune un vertice (in questo modo essendo l’angolo di ogni triangolo equilatero di 60 gradi avremo che 6*60 fa l’angolo giro). Per i quadrati invece ne avremo 4 che condividono lo stesso vertice (4*90=360 gradi) e per l’esagono 3 (6*120=360 gradi). La differenza significativa sta quindi nel perimetro complessivo della struttura. Le api scelgono quella piu’ economica da un punto di vista della cera utilizzata. Meno perimetro meno cera. Si tratta di un problema di minimo. Calcoliamo il perimetro di un triangolo equilatero, di un quadrato e di un esagono a parita’ di area. Supponiamo che la superfice sia uguale a 1 (A=1) e indichiamo con Lt, Pt, Lq, Pq, Le, Pe, lati e perimetri del triangolo, quadrato ed esagono rispettivamente.

Per il quadrato abbiamo:





Per il triangolo equilatero calcoliamo prima l’altezza utilizzando il teorema di Pitagora:



da cui deriva che l’area e il perimetro sono uguali a:


Per l’ esagono, essendo costituito da 6 triangoli equilateri avremo:


Si puo’ osservare che a parita’ di superficie, il perimetro piu’ piccolo e’ quello dell’esagono. Ecco perche’ le api lo hanno scelto per la costruzione del favo. E’ la struttura che richiede meno cera per la sua costruzione. Per essere precisi, il cerchio e’ la figura geometrica che a parita’ di superficie ha il perimetro piu’ piccolo (P=3.544) ma le api non lo utilizzano perche’ se e’ vero che richiede meno cera e allo stesso tempo lascia troppi spazi vuoti inutilizzabili cioe’ non permette la tassellazione del piano.


Le api tutti i giorni costruiscono i loro favi seguendo una procedura matematica che ottimizza lo spazio anche se non conoscono le leggi matematiche. Possiamo pensare che esse sanno fare matematica anche se in modo inconsapevole cioe’ senza rendersene conto. E’ probabile che l’artefice di tutto cio’ sia la selezione naturale in azione da millenni sul nostro pianeta che non fa altro che scegliere le opzioni migliori in termini di sopravvivenza.
Passiamo adesso ad un secondo problema matematico che le api sembrano saper risolvere anche piu’ velocemente di un computer. Si tratta del cosiddetto problema del commesso viaggiatore.  
Data per esempio una rete di città disposte in modo sparso e connesse da strade, si tratta di trovare il percorso più breve che un viaggiatore deve coprire per visitare tutte le città una sola volta. Il problema a prima vista puo’ sembrare facile, ma in effetti lo e’ solo se il numero delle citta’ e’ molto piccolo. In caso contrario anche dei grandi computer possono avere delle difficolta’ ad identificare il percorso minimo in quanto non esiste un algoritmo efficiente e quindi non resta che lavorare di forza bruta calcolando tutti i possibili perscorsi e scegliendo poi quello piu’ breve. E questo puo’ avere delle ripercussioni nel mondo reale visto che il problema del commesso viaggiatore trova applicazioni pratiche nell’organizzazione della logistica e dei trasporti, nel disegno di circuiti integrati e nella robotica industriale. Per una mente umana sarebbe difficile, e richiederebbe molto tempo, elaborare N nodi e risolvere il problema; per un computer invece l'elaborazione dei dati risulta più veloce, ma si fatica lo stesso con numeri superiori ai 1000 nodi. Alle api, invece, la soluzione del problema del commesso viaggiatore viene del tutto naturale.
Alcuni scienziati della Queen Mary School e della Royal Halloway University infatti, hanno scoperto che le api imparano velocemente a trovare il tragitto piu’ breve che separa i fiori da cui prelevano il nettare, anche se i fiori sono stati scoperti dalle api seguendo un  tragitto diverso da quello ottimale.
   
"In natura, le api devono collegare centinaia di fiori con un metodo che minimizzi le distanze, per poi trovare in modo affidabile la via di casa, non è di certo un'abilità banale se si ha il cervello delle dimensioni di una capocchia di spillo!" dice
Lars Chittka della Queen Mary's School of Biological and Chemical Sciences. "Di sicuro questi problemi tengono i supercomputer impegnati per giorni. Studiando come i cervelli delle api risolvono queste sfide potrebbe consentirci di identificare il circuito neurale minimo per risolvere problemi complessi".
Il team di ricerca ha utilizzato dei fiori artificiali controllati da computers, per verificare se le api seguissero un cammino definito dall'ordine con cui hanno scoperto i fiori, o se fossero in grado di trovare il tragitto più corto. Dopo aver esplorato i fiori artificiali, le api hanno presto appreso a volare seguendo il percorso più breve.
La scoperta non ha rilevanza soltanto per l'informatica. Potrebbe infatti fornirci informazioni utili per migliorare le nostre infrastrutture dei trasporti e migliorare Internet attraverso l'apprendimento di come le informazioni fluiscano attraverso i nodi della Rete. Il tutto senza l'utilizzo di computers.
"C'è una percezione comune, che cervelli più piccoli costringano gli animali ad essere semplici" dice
Mathieu Lihoreau, co-autore della ricerca. "Ma il nostro lavoro con le api mostra capacità cognitive avanzate con un numero davvero limitato di neuroni. C'è un bisogno urgente di comprendere il sistema neuronale che sta alla base dell'intelligenza animale, e sistemi nervosi relativamente semplici come quelli delle api rendono la soluzione del mistero più alla portata".
Alcuni mesi fa il team del Queen Mary School non solo ha confermato la capacita’ delle api di risolvere il problema del commesso viaggiatore ma addirittura ha messo in evidenza la loro capacita’ di ottimizzare sia la distanza che la quantita’ di nettare disponibile in ogni fiore. Quando tutti i fiori usati nell’esperimento (sempre artificiali) contengono la stessa quantita’ di nettare, le api imparano a volare lungo la traiettoria piu’ corta per visitarli tutti. Ma se un fiore contiene piu’ nettare di un altro, questo forza le api a decidere se seguire la strada piu’ corta o se visitare per primo il fiore che da’ la ricompensa maggiore.

Quello che l’esperimento ha mostrato e’ che le api decidono di visitare per primo il fiore che contiene piu’ nettare se questo non implica un significativo aumento della distanza totale; in caso contrario le api non visitano questo fiore per primo. Questo comportamento rivela che le api riescono a fare un giusto trade-off tra la minima distanza e la quantita’ di nettare disponibile. E’ la prima evidenza che gli animali per procurarsi il cibo, usano una memoria combinata della locazione e della sua profittabilita’ quando decide quale strada seguire.
Come ultimo esempio voglio riportare i risultati di un esperimento di un team del Vision Centre in Australia che mostrano come le api possono distinguere i numeri osservandoli.  Nel disegno riportato qui sotto viene schematizzato l’esperimento fatto. L’ape incontra una porta sulle cui pareti sono disegnati dei pallini neri e attraversa un tunnel di un metro. Alla fine di questo tunnel c’e’ un deflettore all’interno di quella che viene chiamata la camera della decisione. All’interno di questa camera puo’ scegliere due strade C1 e C2. Una sola di queste due camere all’interno ha una ricompensa (una soluzione di zucchero) ed essa viene indicata con lo stesso numero di punti neri  presenti in S. Chiaramente se l’ape sceglie la camera che ha lo stesso numero in ingresso avra’ una ricompensa altrimenti no.



I risultati hanno dimostrato che le api possono distinguere un pattern a 2 e 3 punti senza dover contare I punti. E con un po’ di insegnamento possono imparare la differenza anche tra 3 e 4 punti. Comunque a 4 la matematica delle api sembra arrestarsi. Oltre non riescono ad andare, nel senso che non riescono a distinguere 4 da 5. I risultati sono indipendenti dal pattern utilizzato, dal colore e dalla forma dei punti. Le api riconoscono la differenza tra due, tre e quattro, sebbene con minore affidabilita’ il 4.Questo processo va sotto il nome di “subitizing”, che significa che le api possono rispondere rapidamente ad un piccolo numero di oggetti. Ci sono state diverse evidenze che I vertebrati, come piccioni, delfini o scimmie, hanno delle competenze numeriche, ma mai ci si sarebbe aspettato di trovare le stesse abilita’ negli insetti. Il team del Vision centre crede che molto probabilmente non c’e’ alcuna frontiera tra gli insetti, animali e noi.  La questione piu’ interessante e’ se le api possono realmente eseguire dei calcoli semplici di aritmetica e a questo scopo il team di studiosi capitanato dal  Dr. Shaowu gia’ pronto per eseguire un esperimento per esplorare cio’. Non ci resta che aspettare. Chi e’ disposto ancora a credere che la matematica e’ quella disciplina noiosa, fredda e piena di formule che non ha nessun legame con la realta’?

venerdì 13 gennaio 2012

Segnali radio da pianeti extraterrestri?

In uno dei miei post di meta’ Dicembre, ho parlato degli esopianeti individuati dalla missione Keplero e della ripartenza del progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence)  per la ricerca di possibili segnali extraterrestri provenienti da questi pianeti.
L’obiettivo del programma SETI  e’ quello di individuare eventuali intelligenze extraterrestri usando differenti approcci. Uno di questi  usa dei radio telescopi per ascoltare i segnali a stretta banda che provengono dall’Universo. 
Questi segnali non sono naturali e quindi una loro individuazione proverebbe l’esistenza di civilta’ tecnologiche al di fuori del nostro sistema solare.
I segnali catturati da un radiotelescopio sono principalmente costituiti da rumore di fondo proveniente da differenti sorgenti come satelliti, TV, radar  e oggetti celesti conosciuti.
Per l’analisi dei dati il progetto SETI  ha bisogno di una grande potenza di calcolo che dal 1995 viene garantita da un supercomputer composto da un enorme numero di personal  computers sparsi per il mondo ma inter-connessi tra loro (chiunque puo’ partecipare al progetto mettendo a disposizione il proprio computer, vedi SETI@home).
E’ di questi giorni un annuncio che sembrava  rivelare la possibile presenza di segnali estraterrestri nei dati raccolti da  SETI a partire da Gennaio 2011 “ascoltando” i pianeti individuati dalla missione Keplero.
 



Vediamo i dettagli. Sul sito web quelli del progetto SETI hanno pubblicato dei grafici che io riporto  qui sotto. Essi rappresentano l’energia elettromagnetica dei segnali in funzione della frequenza e del tempo. I colori piu’ brillanti si riferiscono ad una piu’ alta energia ad una particolare frequenza e tempo. Per esempio, una stazione radio che trasmette a 101.5 MHz produrrebbe una grande quantita’ di energia vicino a questa frequenza. I segnali vengono individuati con la sigla KOI (Kepler Object of Interest) e quelli pubblicati qui si riferiscono a due segnali in particolare: KOI817 e KOI812.





Perche’ questi segnali sono importanti?  Sono  realmente  l’evidenza di civilta’ tecnologiche nel nostro universo? La risposta purtroppo e’ no. Ma allora perche’ sono ritenuti cosi’ importanti dal progetto SETI? Semplicemente perche’ questi segnali sono molto simili a quelli che ci si aspetta da una civilta’ estraterrestre. Banda di frequenza molto stretta e spostamento in frequenza al trascorrere del tempo (a causa dell’effetto Doppler tra il pianeta emettitore e il pianeta terra in moto relativo).  

Questi risultati hanno dimostrato comunque che anche se si tratta sol o di interfenze e non di veri e propri segnali extraterrestri, gli algoritmi di analisi funzionano correttamente. Nei prossimi mesi questa metodologia di analisi verra’ applicata ai quasi 50 terabit di dati collezionati nel 2011. E chissa’ se non ci saranno delle sorprese.
E’ sempre di Dicembre l’annuncio di un possibile metodo alternativo a quello dei segnali radio per scoprire civita’ extraterrestri come proposto in un articolo da due astrofisici: A. Loeb e E. Turner.  Si tratterebbe di evidenziare la presenza di eventuali luci artificiali di una grande citta’ presente sulla superficie del pianeta. E’ chiaro che la precisione richiesta a tali telescopi e’ elevatissima ma dovremmo essere in gradi di poterla raggiungere con i telescopi di prossima generazione. L’idea si basa sull’ipotesi che le creature biologiche progredendo sviluppano la necessaria  tecnologia per l’illuminazione ariticiale delle citta’ come successo per noi umani. La nostra civilta’ usa due tipi di classi di illuminazioni: termica (lampadine ad incandescenza) e quantistica (led e lampade fluorescenti). Queste sorgenti artificiali di luce hanno degli spettri diversi da quelli del sole e questo dovrebbe permetterci  di distinguerli dalla luce della stella attorno a cui orbita un pianeta specialmente quando esso si trova durante la fase di ombra. In accordo a quanto calcolato dai due astrofisici i telescopi in nostro possesso ci permetterebbero oggi di vedere la luce di una metropoli come Tokyo da una distanza confrontabile a quella del pianeta Plutone. Non male ma ancora insufficiente ai nostri scopi. Sicuramente si tratta di un metodo molto difficile ma non impossibile con le future generazioni di strumenti.      

venerdì 16 dicembre 2011

DOV’E’ LA MATEMATICA?

In prossimita' delle feste Natalizie ho pensato di farmi un piccolo regalo pubblicando sul mio blog la recensione fatta dallo statistico Walter Caputo sul blog Gravita' Zero del mio libro "L'universo dei numeri i numeri dell'Universo. Un grazie al professore Caputo per le belle parole spese per il mio libro senza che io lo conoscessi in alcun modo. Grazie.

Esistono libri di matematica veramente accessibili a tutti? Sì, sono quelli generalmente denominati “divulgativi”. Ma la gente li conosce? Oppure siamo ancora fermi al famoso e ingiustificato odio innato per la matematica? Diciamo subito che la matematica non ha mai fatto male a nessuno; al contrario alcuni insegnanti di matematica di male ne hanno fatto, ed anche parecchio. Se siete quindi fra coloro che stanno per riconciliarsi con la matematica, “L’universo dei numeri, i numeri dell’universo” è il libro che fa per voi. D’altronde se avete messo una pietra (nel senso di una lapide) sopra il vostro ex insegnante di matematica, è ora di ripartire da tutto ciò che non vi hanno mai detto sulla matematica, in pratica tutto ad eccezione delle formule che vi sono state impartite come un dogma. Ed infatti nel libro scritto dal fisico Felice Russo non troverete formule, perché la matematica è anche e soprattutto altro. 
Ma, prima di partire, vi potreste chiedere se la matematica venga inventata oppure scoperta. Ciò implica domandarsi se la matematica sia necessariamente collegata alla realtà ed inserita in essa oppure se possiamo affermare che la matematica prescinde dalla realtà, perché non ne ha bisogno e perché esiste anche senza che la realtà stessa esista.
Nell’introduzione al testo, Felice Russo propende per un’idea di matematica che si debba affacciare nel mondo, nel senso che essa fornisce strumenti utilissimi in qualunque settore. Di conseguenza, scopo del testo è proprio mostrare come la matematica sia praticamente dappertutto, ed interessare, divertire ed incuriosire il lettore proprio a partire da fatti o eventi che sembra non abbiano nulla a che fare con quella che molti definiscono “la regina delle scienze”.
Altri autori, come il fisico Roger Penrose, propendono per un’idea di matematica comunque esistente, a prescindere dalla realtà, in un “mondo matematico platonico” dove le forme matematiche “non hanno una posizione spaziale e non esistono nel tempo”. Le nozioni matematiche sono dunque entità atemporali, “che non devono essere considerate come esistenti soltanto nel momento in cui sono percepite dagli esseri umani per la prima volta”.
Così, a proposito dell’ insieme di Mandelbrot, Penrose scrive: “quei disegni ‘esistevano’ già dall’inizio dei tempi in senso potenziale e atemporale, e si sarebbero poi rivelati esattamente nella forma in cui li percepiamo oggigiorno, non importa in quale istante e in quale luogo un essere senziente avrebbe scelto di esaminarli” (1)
Su Le Scienze di ottobre 2011, Mario Livio fornisce una risposta originale: secondo lui la matematica si inventa e si scopre. Scrive infatti: “La matematica è un complesso amalgama di invenzioni e scoperte. In genere i concetti sono inventati, e sebbene le relazioni corrette tra di essi esistano da prima che le si scopra, noi scegliamo quali studiare”. (2)
Abbiamo detto che il fine ultimo di Felice Russo, in questo testo, è divulgare la matematica, cioè comunque diffonderne la conoscenza presso i non addetti ai lavori. D’altronde anche il fine di Gravità Zero è divulgare la scienza, e questo è anche un mio personale proposito.
Ci si potrebbe però chiedere perché farlo. Naturalmente possono esserci numerosissimi buoni motivi a favore di tale attività. Felice Russo, a tal proposito, scrive: “Contrariamente a quanto pensa la gente comune, non si può fare a meno della matematica se si vuole capire il mondo che ci circonda”. Questa è un’ottima e condivisibile affermazione, tuttavia – spesso - la gente non vuole capire il mondo che ci circonda: vive bene anche ignorando quasi completamente la matematica. In particolare gli studenti, con cui ho quotidianamente a che fare, ritengono che non si possa fare a meno dell’ultimo modello di smartphone, e che sia importante imparare ad usarlo, ma non sono interessati a capire il mondo. Certo, non tutti sono così apatici e per niente curiosi. Ad esempio mio figlio mi chiede spesso cos’è o perché o ma come?. Ma lui non ha ancora tre anni.
Se siete adulti, e ciononostante avete conservato almeno un pizzico di quella straordinaria curiosità per il mondo, che hanno i bimbi, allora sappiate che la matematica è davvero affascinante, anzi è forse una delle cose più affascinanti che possano capitare nella vita. Nel 2005, presso la Stanford University, Steve Jobs, recentemente scomparso, concluse il suo memorabile discorso invitando tutti gli studenti ad essere affamati e folli. La “fame” vi porterà – una volta entrati dentro la matematica – a non poterne più fare a meno e a desiderarne sempre di più. La “follia” vi consentirà di seguire una strada matematica fino alle sue estreme conseguenze, trovando così nuovi strumenti, che tutti potranno usare per il loro lavoro o per la loro vita.
Sappiate però che “L’universo dei numeri”, di cui stiamo parlando, è lungo circa 500 pagine, cioè molto di più di quanto sia lungo in media un testo divulgativo di matematica. D’altronde la matematica che si è accumulata fino ad oggi è davvero tantissima, tanto è vero che chi si occupa professionalmente di matematica ne conosce molto bene solo una piccola parte, che è poi l’oggetto delle sue ricerche. Per chi fa altro nella vita, l’incontro con la matematica di questo testo è un piatto molto ricco. Potrete però scegliere all’interno i percorsi che più gradite, costruendo in questo modo un menu personalizzato.
Se ad esempio siete interessati ai numeri primi, ovvero a quei numeri divisibili solo per 1 e per se stessi, allora cominciate dal capitolo II. Quanti sono i numeri primi? Come sono distribuiti? A cosa servono? Euclide, già nel 300 a.C. circa, ha dimostrato che i numeri primi sono infiniti.
Ma il fatto che siano infiniti implica che non si possano contare? In realtà se vogliamo contare degli oggetti dobbiamo solo aver un buon sistema per farlo, non ha importanza che il numero degli oggetti sia finito o infinito, poiché il numero degli oggetti è una cosa diversa dal sistema di misura. Ci occorre quindi un buon sistema di misura. Per Roberto Zanasi contare significa “numerare progressivamente persone, animali o cose per determinarne la quantità. Numerare. Cioè segnare con numeri progressivi.”. In termini matematici “contare significa proprio mettere in corrispondenza biunivoca un insieme numerico con l’insieme di cui vogliamo contare gli elementi”.
Ad esempio, spiega Zanasi, l’insieme (a,b,c,d,) ha 4 elementi, poiché alle 4 lettere contenute all’interno possiamo associare i seguenti numeri naturali: 0,1,2,3. In questo modo stiamo descrivendo la grandezza dell’insieme, che prende il nome di cardinalità. (3). Ma esistono anche nuovi sistemi numerali, che consentono di analizzare sotto un’altra luce i risultati matematici di Georg Cantor (illustrati nel libro di Zanasi). Yaroslav Sergeyev ha elaborato un nuovo sistema numerale, tramite il quale è possibile affrontare con armi migliori la sfida per risolvere niente poco di meno che il Primo Problema di Hilbert (4).
Ho introdotto i numeri primi, giusto per fare un piccolo esempio di una lunga carrellata sui vari tipi di numeri, che troverete nel testo. Ed ogni volta che l’autore prende in esame un certo tipo di numero, ne esamina molti aspetti ed espone le connessioni di quel numero con il mondo che ci circonda.
Per restare sempre sui numeri primi, scopriamo – anche tramite esempi applicativi – che sono utilissimi in crittografia, e che oggi – con tutte le transazioni che avvengono tramite internet – tale scienza è diventata di vitale importanza. Inoltre, pare che due specie di cicale abbiano un ciclo di lunghezza pari ad un numero primo (una specie 13 anni e l’altra 17 anni) per evitare di incontrarsi troppo nel momento in cui fuoriescono dalla terra……
Dov'e' la matematica?A questo punto dovreste conoscere la risposta: la matematica è dappertutto. Buona lettura !

NOTE
(1) Roger Penrose – La strada che porta alla realtà – Le leggi fondamentali dell’Universo – BUR Scienza, 3° edizione febbraio 2007
(2) Mario Livio – Perché la matematica funziona – Le Scienze, ottobre 2011
(3) Roberto Zanasi – Verso l’infinito ma con calma – Un dialogo su matematica, insiemi e numeri – Scienza Express, 2011
(4) Yaroslav Sergeyev – Counting systems and the First Hilbert problem
http://www.wikio.it