venerdì 12 aprile 2019

All’ombra del mastodontico mostro …..



Dopo la scoperta delle onde gravitazionali, un’altra previsione della relativita’ generale di Einstein ha avuto la sua conferma. La notizia ha fatto la sua comparsa sui media di tutto il mondo ieri, 10 Aprile 2019. La notizia si e’ subito sparsa a macchia d’olio lungo la rete del web e i social, spesso con post poco attendibili e informazioni inesatte. Di cosa si tratta? Ancora una volta gli scienziati ci hanno sorpreso e meravigliato. Questa volta abbiamo visto quello che per definizione non e’ possibile vedere. Si e’ proprio cosi. Si tratta della prima prova diretta visiva di una buco nero super-massiccio. L’immagine e’ il risultato di una collaborazione internazionale al lavoro da molti anni (Event Horizon Telescope Collaboration, in breve EHT). L’annuncio e’ arrivato con la pubblicazione di 6 articoli in un special issue del The Astrophysical Journal Letters (Link). Poiche’ ognuno di noi conosce i buchi neri per aver sentito o letto qualche cosa almeno una volta nella vita, si fa fatica a capire la portata della scoperta; diciamo che fino a ieri avevamo solo un’evidenza teorica, qualche immagine simulata al computer o una rappresentazione artistica di un buco nero. Nniente di piu’. Adesso invece non e’ piu’ cosi. Finalmente abbiamo una sua foto anche se alcune precisazioni sono necessarie. Ma procediamo con ordine.




La foto che ha fatto il giro del mondo in pratica e’ la prima immagine radio del buco nero super-massiccio (circa 6.5 miliardi di volte la massa del nostro Sole) al centro della galassia M87 anche conosciuta come Virgo A (una supergigante ellettica – vedi foto sotto) , a 55 milioni di anni luce dalla Terra.





L’immagine catturata dal team di ricercatori internazionali in effetti non e’ esattamente il buco nero; un buco nero e’ nero proprio perche’ la luce non puo’ scappare via essendo attratta dalla sua fortissima forza gravitazionale e quindi di per se un buco nero e’ invisibile. In realta’ l’immagine mostrata e’ quella che gli astronomi chiamano l’ombra proiettata del buco nero, con un anello luminoso formato dalla curvatura della radiazione che passa nelle vicinanze del buco nero dove lo spazio-tempo e’ fortemente deformato. Vediamo meglio cosa succede.
Un osservatore quando vede un oggetto luminoso nel cielo, in pratica sta ricevendo dei treni di fotoni (quanti del campo elettromagnetico) che colpiscono i suoi occhi. Dalla relativita’ di Einstein, sappiamo che qualsiasi massa perturba la tela dello spazio tempo e quindi e’ in grado di deviare anche i fotoni che a un certo punto non seguono piu’ la loro traiettoria rettilinea ma curvano.




Quando un buco nero e’ circondato da materiale luminoso (grazie all’accelerazione del forte campo gravitazionale il materiale nelle sue vicinanze diventa un plasma che emette onde elettromagnetiche) si riesce a vedere la sua sagoma se il materiale circostante a’ abbastanza trasparente da far passare i fotoni (vedi immagine sotto a sinistra dove i raggi in giallo sono i fotoni deviati e quelli neri catturati dal buco nero centrale nel piano equatoriale z=0). Questa ombra del buco nero e’ significativamente piu’ grande della reale dimensione dell’orizzonte degli eventi del buco nero. Questo perche’ l’ombra proiettata che osserviamo e’ l’ombra generata dalla zona di cattura dei fotoni e non l’orizzonte degli eventi stesso. Quest’ultimo e’ sempre interno alla sfera di cattura dei fotoni; confrontare il disco dell’immagine superiore a sinistra, cioe’ l’orizzonte degli eventi, con quello dell’immagine inferiore che invece rappresenta la zona di cattura della sfera di fotoni.



Nell’immagine di sinistra si e’ ipotizzato che il buco nero sia immobile. Nella realta’ esso ruota su stesso e quindi a causa dell’effetto di trascinamento (secondo la relativita’ un oggetto ruotante trascina lo spazio tempo intorno a se) l’ombra proiettata diventa distorta come mostrato nell’immagine sopra a destra. Questo si spiega semplicemente considerando la velocita’ di rotazione del materiale intorno al buco nero che sulla sua destra (la sinistra dell’osservatore) e’ diretta verso di noi e sulla sinistra in allontanamento da noi. L’immagine di seguito e’ la mappa delle velocita’ stellari della parte centrale di M87 rispetto ad un osservatore terrestre. In blu viene rappresentato il moto in direzione della Terra mentre in rosso quello in allontanamento dalla Terra. In giallo e verde le altre direzioni tra queste due estreme. Laddove abbiamo le regioni blu, avremo un anello piu’ luminoso rispetto a quelle rosse. Ecco spiegata l’asimmetria di luminosita’ nell’immagine del buco nero.




Cosa hanno utilizzato gli astronomi per ottenere questa immagine? Un telescopio chiamato Event Horizon. In effetti non si tratta di un singolo telescopio, ma di una matrice di 8 radio-telescopi posizionati in diversi continenti e disegnati proprio per catturare l’immagine diretta di un buco nero. Qui di seguito la posizione degli otto radio-telescopi: Arizona, Hawai, Messico, Cile, Spagna e Polo Sud. La scelta delle onde radio rispetto al visibile ha il vantaggio che la luce del Sole, le nuovole e la pioggia non influenzano le osservazioni degli oggetti celesti.




Come per la scoperta delle onde gravitazionali, anche in questo caso e’ stata usata la tecnica dell’interferometria per migliorare la risoluzione angolare dello strumento. Quest’ultima e’ l’abilita’ di un telescopio nel distinguere due oggetti molto vicini tra loro. In fisica sappiamo che la risoluzione R e’ approssimativamente data dal rapporto tra la lunghezza d’onda lambda e la dimensione del telescopio D. Piu’ e’ grande il diametro di un telescopio e piu’ R e’ piccola (migliore risoluzione angolare). Questa e’ la ragione per cui gli astronomi sono alla continua rincorsa di telescopi sempre piu’ grandi. Semplicemente per avere una vista sempre piu’ fine. Giusto per fare un confronto, la risoluzione di un occhio umano e’ di circa 60 arco-secondi di grado per la luce visibile e quella del telescopio Hubble con i suoi 2,4 metri di diametro e’ di circa 0.05 arcsec di gradi.
Ma cosa e’ un arcsec? Se consideriamo un cerchio esso puo’ essere diviso in gradi. Ogni grado puo’ essere diviso in 60 arcminuti e ogni minuto in 60 arcsecondi, cioe’ un grado corrisponde a 3600 sec di arco (arcsec).
Anche se la risoluzione del telescopio Hubble e’ impressionante, non e’ sufficiente per vedere l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Per fotografare il buco nero al centro di M87 e’ stata necessaria una risoluzione di soli 22 micro arcsec di grado cioe 0.000022 arcsec di grado. Questo significa che la luna che ha una dimensione angolare di 0.5 gradi e’ qualche cosa come 82 milioni di volte piu’ grande della dimensione angolare del buco nero di M87. Per arrivare a questa risoluzione da capogiro si e’ pensato di far lavorare all’unisono gli 8 telescopi sparsi nel mondo con un D nella formula di R pari alla massima distanza tra qualsiasi coppia di telescopi nella matrice. E’ come se avessimo costruito un unico telescopio con un diametro enorme. Con questa risoluzione sarebbe possibile leggere un giornale posizionato sulla superficie lunare. Senza la necessaria risoluzione il buco sarebbe apparso come un semplice puntino come accade nel caso di due sorgenti luminose molto vicine in caso di basso potere risolutivo. Vedremmo una sola sorgente.



Ma se si tratta di radio-telescopi come hanno fatto gli scienziati a costruire l’immagine pubblicata all’inizio di questo post? In effetti non si tratta di un immagine nell’intervallo del visibile ma di un’immagine radio. Tra queste due radiazioni non c’e’ molta differenza a parte la lunghezza d’onda. Molto grande per le onde radio rispetto al visibile. Per il resto sono entrambe onde elettromagnetiche che si propagano alla velocita’ della luce grazie alla variazione combinata di campi elettrici e magnetici. Avendo una lunghezza d’onda diversa questi due tipi di onde interagiscono in modo diverso con la materia. Le onde radio per esempio, attraversano i muri mentre quelle della luce visibile no. Se la luce colpisce un certo oggetto, noi lo possiamo vedere grazie alla luce riflessa che arriva ai nostri occhi. Un’alternativa e’ quella di utilizzare una macchina fotografica o una camera e registrare la luce per poi rivedere l’oggetto in qualsiasi momento su un PC o sulla TV. L’immagine del buco nero pero’ come detto e’ un’immagine radio e quindi ogni pixel e’ la rappresentazione di una particolare onda radio. Quando per esempio vediamo il colore arancio, questo e’ un falso colore che sta a rappresentare le onde radio di circa 1 mm. La stessa cosa succede se vogliamo “vedere” un immagine negli infrarossi o ultravioletto. Dobbiamo convertire queste lunghezze d’onda in qualche cosa da poter vedere. In questo senso l’immagine del buco nero non e’ una normale fotografia ne’ qualche cosa che si puo’ vedere con un telescopio ottico. Pur tuttavia rimane inalterato il fascino e la bellezza con cui il buco nero si e’ presentato a noi, puntini infinitesimi sulla superficie di un piccolo pianetino in fuga nell’Universo.

martedì 22 gennaio 2019

Archeocarpologia

Oggi con grande piacere, dopo aver otternuto il permesso, pubblico la tesi di mia figlia Gilda che tratta di  un argomento scientifico ( e quindi in linea con i temi del blog) poco noto alla maggior parte delle persone. Si tratta dell’archeocarpologia e cioè dello studio dei resti di semi, frutti e annessi fiorali. Insieme all’archeopalinologia (studio dei pollini, spore) e all’Archeoxilo-antracologia (studio dei legni e dei carboni) costituisce la disciplina dell’archeobotanica che si occupa dello studio dei reperti vegetali sia microscopici che macroscopici provenienti da siti archeologici a partire dal paleolitico fino all’eta’ moderna. Il suo scopo è quello di trovare le relazioni esistenti fra l’uomo e l’ambiente vegetale e l’evolversi e il modificarsi nel tempo di tale interazione. Negli ultimi anni il contributo delle analisi archeobotaniche si è rivelato di fondamentale importanza in quanto non solo fornisce utili elementi per ricostruire l’evoluzione del paesaggio di un determinato sito, ma contribuisce anche a conoscere le attività dell’uomo nel corso del tempo, scoprendo ad esempio quali piante coltivava e raccoglieva, quali utilizzava e per quale scopo, oppure quali prodotti raccoglieva/trasformava (ceduazione dei boschi, vinificazione, trebbiatura, ecc.), o ancora, se vi erano boschi oppure zone umide o canali, ecc. fino ad acquisire importanti informazioni relative al substrato, al clima, all’orografia e alla topografia del territorio. Dopo questa breve  introduzione ritorniamo alla tesi dal titolo:  “Analisi carpologica del materiale rinvenuto in un pozzo adiacente al Santuario romano di Ercole in Alba Fucens”. Lo studio è stato effettuato sotto la direzione della Professoressa Sadori della Sapienza di Roma e ha avuto come oggetto lo studio dei resti carpologici rinvenuti durante gli scavi del 2011-2013, effettuati dalla Soprintendenza dell’Abruzzo sotto la direzione della dottoressa Ceccaroni, relatrice esterna della Tesi. Le conclusioni dello studio sono state molto interessanti per diversi motivi. Si e’ trattata della prima indagine archeocarpologica effettuata ad Alba Fucens, colonia romana risalente a circa il 300 aC e oggi ubicata a pochi chilometri da Avezzano.  E’ stata stabilita una significativa presenza di sambuco nero rispetto a siti analoghi di epoca romana. Questo sembra essere in linea con quanto stabilito dall’antropologa Nicolai, che in base ai suoi studi glottologici fa risalire il suffisso sabus, dei nomi Sabini, Sanniti e Sabelli (popoli dell’antico Abruzzo), a quello di sambus (sambuco) cioè popoli coltivatori del sambuco. Il ritrovamento di resti di uva, pesche, noci, nocciole, fico, ciliegio e more fa capire che la dieta di questi popoli di circa 2000 anni fa non era poi tanto diversa da quella che ancora sopravvive negli stessi luoghi oggi. Per le noci e le pesche, in particolare, si è stabilito  che già a quell’epoca  venissero coltivate, come anche probabilmente la vite. Un ultimo ritrovamento, degno di nota, è stato quello di una pianta spontanea (lisca natante) ritenuta con molto probabilità oggi assente in Italia e mai esistita in Abruzzo, secondo quanto riportato dal sito Acta Plantarum. A questo punto vi lascio alla lettura dello studio  sperando che vi possa piacere.
Link tesi

martedì 11 dicembre 2018

Se tu sei cosi brillante perche’ non sei anche ricco? Questione di fortuna.


Le persone di maggiore successo non sono sempre quelle piu’ talentuose, ma solo quelle piu’ fortunate. Questo il risultato di un modello di ricchezza sviluppato da 3 fisici italiani dell’Universita’ di Catania e pubblicato su Arxiv (Link1, Link2). La distribuzione della ricchezza come noto, segue un pattern ben definito chiamato la regola 80:20 (o principio di Pareto), l’80% della ricchezza e’ posseduta dal 20% delle persone. In uno studio pubblicato l’anno scorso addirittura e’ riportato che solo 8 persone posseggono la ricchezza totale di quella dei 3.8 miliardi di persone piu’ povere al mondo. Questo sembra accadere in tutte le societa’ e a tutte le scale. Si tratta di un noto pattern chiamato legge di potenza che appare in un ampio intervallo di fenomeni sociali. Ma la distribuzione della ricchezza e’ quella che genera  piu’ controversie a causa dei problemi che solleva sull’equita’ e sul merito. Perche’ mai solo una piccola parte di persone nel mondo dovrebbe possedere tanta ricchezza? La risposta tipica a questa domanda e’ che noi viviamo in una societa’ meritocratica dove le persone vengono premiate in base al loro talento, intelligenza, sforzi, ostinita’. Nel tempo, questo si traduce nella distribuzione di ricchezza che osserviamo nella realta’.  C’e’ un problema pero’ con questa idea: mentre la distribuzione della ricchezza segue una legge di potenza (distribuzione di Pareto), la distribuzione dell’intelligenza e delle abilita’ in genere segue una distribuzione normale che e’ simmetrica rispetto al valore medio. Per esempio, l’intelligenza che viene misurata tramite il test IQ, ha un valore medio di 100 e si distribuisce in modo simmetrico rispetto a questo valore. Nessuno ha mai ottenuto 1000 o 10000. Lo stesso e’ vero per lo sforzo che puo’ essere misurato in ore lavorate. Qualche persona lavora piu’ ore della media e qualche altra di meno, ma nessuno lavora milioni di ore piu’ di altri.

Eppure quando si tratta dei premi che si possono ricevere per il lavoro, alcune persone ottengono ricompense milioni di volte piu’ remunerative di altri. Per di piu’, diversi studi hanno mostrato che in genere le persone piu’ ricche non sono quelle piu’ talentuose. Quali fattori, allora determinano il modo in cui gli individui diventano ricchi? E’ possibile che il caso giochi un ruolo maggiore di quello che ognuno di noi si aspetta? E come possono questi fattori, qualunque essi siano, essere sfruttati per rendere il mondo un posto migliore e più giusto dove vivere?

Una risposta viene proprio grazie al lavoro di A. Pluchino e 2 suoi colleghi dell’Universita’ di Catania. Questo team ha creato un modello al computer utilizzando NetLogo un ambiente di programmazione a multi-agenti. Grazie ad esso hanno potuto analizzare il ruolo del caso in un processo in cui un gruppo di persone con un certo talento esplora le opportunita’ della vita. I risultati sono veramente illuminanti. Le loro simulazioni riproducono accuratamente la distribuzione della ricchezza nel mondo reale. Ma gli individui piu’ ricchi non sono quelli piu’ talentuosi (sebbene essi abbiano comunque un certo livello di talento). Essi sono semplicemente i piu’ fortunati. E questo ha un’implicazione significativa sul modo in cui le societa’ possono ottimizzare i ritorni degli investimenti che si fanno, dal mercato alla scienza. Il modello sviluppato e’ abbastanza semplice. Esso consiste di N persone, ognuna con un certo livello di talento (abilita’, intelligenza, destrezza e cosi via). Questo talento e’ distribuito secondo una Gaussiana intorno ad un valore medio e una certa deviazione standard. Alcune persone, quindi sono piu’ talentuose della media ma nessuna lo e’ per piu’ ordini di grandezza.

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Questa e’ la stessa distribuzione che ritroviamo per caratteristiche umane come l’altezza e il peso. Alcune persone sono piu’ alte o piu’ basse della media, ma nessuno ha le dimensioni di un moscerino o di un elefante. Alla fine siamo abbastanza simili tra noi. Il modello costruito, ha seguito ogni individuo per 40 anni di vita lavorativa (dai 20 ai 60 anni). Durante questo tempo, gli individui possono aver sperimentato degli eventi fortuiti che hanno potuto sfruttare per aumentare la loro ricchezza se abbastanza talentuosi. Allo stesso modo, possono anche subire degli eventi sfortunati che possono ridurre la loro ricchezza. Questi eventi sono completamente casuali. Alla fine dei 40 anni, il team ha fatto un ranking degli individui in base alla ricchezza accumulata e studiato le caratteristiche di questa distribuzione. Hanno poi ripetuto la simulazione molte volte per verificare la robustezza dei risultati.

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In questa figura un esempio di configurazione iniziale di una simulazione. Ci sono 1000 individui (agenti) con diversi gradi di talento e distribuiti in modo casuale all’interno di un mondo quadrato fatto di 201x201 striscie con condizioni al contorno periodiche. Durante ogni simulazione che copre diverse dozzine di anni queste persone vengono esposte ad un certo numero di eventi fortunati (cerchi di colore verde) e sfortunati (cerchi di colore rosso) che si muovono attraverso il mondo quadrato con traiettorie del tutto casuali.


La distribuzione della ricchezza che emerge dalle simulazioni e’ esattamente quella vista nel mondo reale. La legge 80:20 viene rispettata, in quanto l’80% della popolazione possiede il 20% del capitale totale, mentre il rimanente 20% possiede l’80% di questo capitale. Questo risultato non sarebbe sorprendente o sleale se il 20% delle persone piu’ ricche fosse anche quello piu’ talentuoso. Ma questo non e’ quello che emerge dallo studio.

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Gli individui piu’ ricchi, in genere non sono quelli piu’ talentuosi o prossimi a essi. Il massimo successo non coincide con il massimo talento e viceversa.

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Quindi se non e’ il talento, quali altri fattori causano questa distribuzione di ricchezza fortemente scodata? La simulazione chiaramente individua nella pura fortuna tale fattore. Facendo una classifica degli individui secondo il numero di eventi favorevoli e sfavorevoli subiti nei 40 anni di lavoro, e’ evidente che gli individui con maggiore successo sono anche i piu’ fortunati. E quelli che hanno avuto meno successo sono proprio quelli piu’ sfortunati (maggiore numero di eventi negativi).

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Questo risultato ha delle implicazioni molto profonde per la societa’. Quale e’ la strategia piu’ efficace per esplorare il ruolo della fortuna nel successo di una persona? Il team ha verificato questo aspetto usando il metodo con cui vengono stabiliti i fondi per la ricerca scientifica. Le agenzie di finanziamento di tutto il mondo sono interessate a massimizzare il loro ritorno sull'investimento nel mondo scientifico. Recentemente l’European Reserch Council ha investito 1.7 miliardi di dollari in un programma per studiare la serendipita’, cioe’ il ruolo della fortuna nelle scoperte scientifiche, e come essa puo’ essere sfruttata per migliorare i risultati del finanziamento. E questo studio di Pluchino e il suo team  ben si presta a dare una risposta a questa domanda. In esso vengono esplorati diversi modelli di finanziamento per capire quale di essi produce il miglior ritorno quando si tiene in considerazione la fortuna. In particolare sono stati studiati 3 modelli in cui il fondo e’ distribuito equamente a tutti gli scienziati, distribuito a caso ad un numero limitato di scienziati o dato preferenzialmente a quelli che hanno avuto piu’ successo in passato. Quale e’ la migliore strategia? La risposta e’ controintuitiva ed il primo modello. Si avete capito bene quella che assegna il fondo in modo equo a tutti gli scienziati. E subito dopo la seconda e terza strategia vincente e’ quella che prevede di assegnare a caso il fondo al 10 o 20% degli scienziati. In questi casi, i ricercatori riescono ad ottenere un vantaggio dalle scoperte per serendipita’ che avvengono nel tempo. Col senno di poi e’ ovvio che se uno scienziato ha fatto una scoperta nel passato non significa che ha una probabilita’ maggiore di farne un’altra nel futuro. Un simile approccio potrebbe essere applicato anche negli investimenti di altro tipo di aziende, come una piccola o grande impresa, startup tecnologiche o anche per la creazione casuale di eventi fortunati. E’ chiaro che c’e’ bisogno di ulteriori indagini e studio su questo argomento prima di poter dare un giudizio definitivo. I primi risultati sono di sicuro rivoluzionari e in controtendenza, con una prospettiva di applicazione del tutto nuova e molto interessante. Non ci resta che aspettare ulteriori dettagli….

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